venerdì 29 luglio 2022

IL FIUME TREBBIA

 TREBBIA........

 è un fiume dell'Italia settentrionale lungo 115 km, affluente di destra del Po che attraversa le province di Genova e di Piacenza, segnando anche per un brevissimo tratto il confine con la provincia di Pavia nel comune di Brallo di Pregola tra il Monte Lesima e il comune di Corte Brugnatella.

 Il Trebbia nasce in Liguria dalle pendici del monte Prelà (1406 m) scorrendo per parecchi km in territorio ligure dove bagna i centri di Montebruno, Rovegno, Garbarino (dove riceve da sinistra il T. Terenzone ) ed infine Ottone entrando poi in definitiva in territorio Piacentino mantenendo sempre un andamento tortuoso di conseguenza passa sotto la località di Traschio nel comune di Cerignale, sotto il Monte Lesima (dove riceve da sinistra il torrente Boreca) e presso il centro di Ponte Organasco (sempre sotto Cerignale) incassandosi poi in una serie di magnifiche gole nel territorio del comune di Corte Brugnatella. Terminato questo spettacolare tratto riceve da destra il notevole apporto dell'Aveto, suo principale affluente, raddoppiando così il suo volume medio d'acque. Da precisare infatti che l'apporto dell'Aveto è fondamentale per la Trebbia soprattutto d'estate, a causa delle forti magre a cui quest'ultima è soggetta. Da qui la valle si amplia e il fiume si dirige verso Nord. Subito bagna il centro di Marsaglia (capoluogo del comune di Corte Brugnatella), formando poi un’altra ancor più spettacolare serie di gole (molto frequentate dai canoisti), dopodiché dopo aver ricevuto gli affluenti di sinistra Carlone e Bobbio (torrente omonimo) che scende dal Monte Penice, si appresta ad attraversare ad est il comune di Bobbio scorrendo sotto le arcate del suo famoso Ponte Gobbo. Da qui in poi il fiume assume andamento Nord-Est ampliando sempre più la propria valle e formando spesso larghissimi ed impressionanti ghiaioni. Molti sono i centri situati lungo il suo corso: Mezzano Scotti di Bobbio, Perino (frazione di Coli), Travo e Rivergaro. Dopo quest'ultimo centro il fiume entra nella pianura Padana risultando così il fiume dell'Emilia-Romagna di maggiore portata media (40 m³/s., superiori allo stesso Reno, ove si valutino i deflussi allo sbocco in pianura) e con la valle (la Val Trebbia) più lunga dell'Appennino settentrionale. Da qui con letto assai ampio si dirige nuovamente verso Nord sino a giungere all’estrema periferia di Piacenza dove confluisce alla destra del Po. La foce del fiume Trebbia nel Po avviene tra i comuni di Piacenza e di Calendasco, che vede essere posto sulla stessa Trebbia, in località Malpaga, il guado del fiume onde proseguire per la città. Questa è la direttrice stradale conosciuta oggi quale Via Francigena.Col passare dei secoli il corso della Trebbia nella parte pianeggiante si è spostato di alcuni chilometri mutando il punto di ingresso nel Po, seguendo la cronaca che Polibio ci ha lasciato della battaglia tra l'esercito di Annibale e quello romano risulta oggi più a ovest che nel 218 a.C. attraversando Montebruno, Due Ponti (frazione di Fontanigorda, Loco ed Isola (frazioni di Rovegno, Gorreto, Ottone, Zerba, Ponte Organasco (frazione di Cerignale, Marsaglia (sede del comune di Corte Brugnatella, Bobbio, Perino (frazione del comune di Coli), Travo, Rivergaro, Gragnano Trebbiense e Piacenza.

La portata media del fiume Trebbia è nel tratto medio-basso di circa 40 m3/s., il che ne fa il fiume con la più alta portata presso lo sbocco vallivo di tutta l'Emilia-Romagna. Tuttavia il fiume risente di un regime estremamente torrentizio con piene imponenti e turbinose (in caso di eventi estremi anche superiori ai 2.500 m3/s.) che modificano spesso la conformazione dell’alveo. Per contro in estate le magre (e la permeabilità del letto di scorrimento) sono talmente accentuate al punto da lasciare il fiume completamente in secca a partire da Rivergaro, sino alla confluenza nel Po. Responsabili della secca estiva sono anche i massicci prelievi di acqua per l'irrigazione, che incominciano nei pressi di Rivalta dove due canali deviano parte della portata per uso agricolo. Nel tratto compreso tra Marsaglia e Bobbio non sono infrequenti (anche in estate), possibili piene improvvise dovute al rilascio di acque da parte della Diga di Boschi, sull'affluente Aveto, che vengono pre-annunciate con un sistema di sirene.Fino a Bobbio, il fiume scorre in una vallata di grande pregio naturalistico che richiama molti turisti ed appassionati di sport acquatici (canoa/Kayak, rafting e torrentismo).La valle della Trebbia ha il pregio infatti di essere per gran parte ancora incontaminata e soprattutto il tratto dell’alto corso risulta essere una delle più suggestive ed incontaminate valli dell’Appennino. IL TREBBIA E' UNO DEI POCHI CORSI D'ACQUA ITALIANI A NON ESSERE INQUINATO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Lungo le sue rive si sono combattute due battaglie.

Nella prima Battaglia della Trebbia (218 a.C.) Annibale sconfisse i romani guidati dal console Tiberio Sempronio Longo.A testimonianza dell'importanza che ebbe il controllo del passaggio per la val Trebbia verso il mare e il porto di Genova rimangono alcuni castelli, quelli di Rivalta e Statto sono posti sulla riva sinistra del fiume, nel comune di Gazzola, di fronte a quello di Montechiaro e al distrutto castello di Rivergaro.Durante la battaglia del 1799, avvenuta durante le guerre napoleoniche, il generale russo Aleksandr Suvorov sconfisse le truppe francesi guidate dal generale MacDonald.

martedì 19 aprile 2022

LA REGIONE DELLE 4PROVINCE

 OLTREPO ALTA VAL TREBBIA-SCRIVIA LIGURE LA REGIONE DELLE 4PROVINCE 

Per Quattro province si può intendere le zone dove è diffuso un certo repertorio folkloristico legato all'uso specifico di uno strumento: il cosiddetto piffero delle Quattro province.Le province interessate sono Alessandria, in Piemonte 

Genova, in Liguria 

Pavia, in Lombardia 

Piacenza, in Emilia-Romagna.

Storicamente zona di transito per commercianti, eserciti, pellegrini e viaggiatori, vi passavano antiche percorrenze come la via Postumia (tracciata da Aulo Postumio Albino nel 148 a.C.) che collegava Genova ad Aquileia; la via Francigena, che durante il Medioevo portava i pellegrini dalla Francia a Roma e da qui a Gerusalemme, la via degli Abati che partiva da Bobbio, la via del sale attraverso la quale transitava, verso la pianura Padana, il sale proveniente dalla Liguria.Nei tempi andati l'area era molto più ampia, si estendeva fino alla pianura Padana a nord e al mare a sud, lambendo la provincia di Parma ad est. I cambiamenti socio-economici hanno totalmente cambiato i modi di vita tradizionali, l'inurbamento con il conseguente spopolamento delle campagne, la difficoltà di mantenere in vita usanze non più indispensabili alla vita sociale dei piccoli nuclei, l'innegabile fascino del nuovo che va a soppiantare un vecchio che portava con sé ricordi e richiami ad una vita povera e difficile ne hanno notevolmente ridotto la superficie.La definizione di un esatto confine di questa zona è difficile, l'estensione attuale è limitata alle aree montane e valligiane di val Borbera e val Curone nella provincia di Alessandria, alta valle Scrivia, alta val Trebbia, val d'Aveto, val Fontanabuona, val Pentemina in provincia di Genova, valle Staffora in provincia di Pavia, val Trebbia, val Boreca, val Tidone, val Luretta, alta val Nure in provincia di Piacenza.Si deve all'opera del fiume Trebbia e dei torrenti Scrivia, Aveto, Bisagno, Borbera, Boreca, Curone, Lavagna, Staffora, Tidone, l'aver scavato vallate impervie nelle quali la difficoltà di comunicazione e le strade tortuose - unite alla tenacia dei montanari - hanno contribuito a preservare dal rischio di estinzione una fetta importante del patrimonio culturale italiano.Molte sono le testimonianze della presenza dei Liguri fin dall'Età della pietra (villaggio neolitico a Travo, val Trebbia piacentina) e nell'età del ferro (castelliere, villaggio fortificato di Guardamonte nell'Alessandrino).Ben documentata anche la presenza dei Romani, molti i toponimi, i ritrovamenti archeologici (resti della città di Libarna in val Scrivia) e la documentazione storica (Tabula alimentaria traiana del Municipio di Velleia del II secolo d.C.). Secondo lo storico romano Polibio, nel dicembre del 218 a.C., Annibale inflisse una pesante sconfitta al console romano Tito Sempronio Longo nella battaglia della Trebbia. Alcuni toponimi della Val Trebbia e della val Boreca, come Zerba sembra rechino traccia dal passaggio delle truppe di Annibale.Dal IV secolo, sotto la pressione crescente delle popolazioni barbariche, si verificò una migrazione dalla costa ligure e dalla pianura verso le zone montuose. Si formarono così nuovi insediamenti basati su un'economia di sussistenza agro-pastorale.Dopo la caduta dei Longobardi a opera di Carlo Magno, il Sacro Romano Impero costituì i Feudi Imperiali, con lo scopo di mantenere un passaggio sicuro verso il mare, assegnò questi territori a famiglie (quali: i Malaspina, i Fieschi, i Doria, i Pallavicino, i Landi e i Farnese) che dominarono per secoli questi feudi.Napoleone abolì i feudi e il territorio venne diviso tra la Repubblica Cisalpina e la Repubblica Ligure, nel 1815 il Congresso di Vienna cedette gli ex feudi imperiali al Regno di Sardegna e nel 1861, questi territori vennero annessi al Regno d'Italia.Tra gli elementi culturali comuni di queste vallate il più noto è quello musical-coreutico. Il modo di cantare dei cori, influenzato dal trallallero genovese, il repertorio delle musiche da piffero e le danze popolari dette, appunto, delle quattro province sono preziose testimonianze di una cultura antica miracolosamente sopravvissuta fino ai nostri giorni. Accomunano questi territori anche alcune feste popolari e riti calendariali quali le questue per il calendimaggio, il carnevale e i festeggiamenti dei Santi patroni.La coppia di musicisti che suonano piffero e fisarmonica anima tutte le feste, non si balla senza musica dal vivo, con la fine della civiltà agricola-montanara sono rimasti loro i portatori della tradizione.Il repertorio musicale è corposo, antico, trasmesso attraverso i secoli (il fifaro è citato in uno scritto del Pessagno su fatti della val Fontanabuona del 1578) comprende oltre le melodie da ballo, brani che scandivano i momenti della vita contadina: questue come il cantamaggio, la galina grisa, il carlin di maggio, la Santa Croce; il carnevale con la povera donna; la partenza per la leva con leva levon; il matrimonio con la sposina (brano per accompagnare la sposa dalla sua casa alla chiesa) e altri brani "da strada" come la sestrina per accompagnare i cortei nelle varie occasioni.I pifferai più famosi furono il mitico Draghino, Ernesto Sala di Cegni, Jacmon, Giuanen e Fiur in val Trebbia.La coppia piffero-fisarmonica porta il nome, o più spesso il soprannome dei suoi componenti, alcune di quelle attive oggi sono:Bani (Ettore Losini) e Tilion (Attilio Rocca) 

Franco (Guglielmetti) e Stefanino (Faravelli) 

Marco (Domenichetti) e Cisdra (Cesare Campanini) 

Fabrizio Ferrari e Claudio Rolandi 

Stefano (Valla) e Daniele (Scurati) 

Massimo (Perelli) e Gianpaolo (Tambussi) 

Fabio (Paveto) e Buscaien (Stefano Buscaglia) La particolarità di repertorio e strumenti ha fatto si che gruppi importanti per il folk revival come i Baraban, la Ciapa Rusa, i Tendachent, i Tre Martelli, i Musicanti del piccolo borgo abbiano introdotto i brani da piffero nei loro concerti.Lo strumento principe è il piffero (oboe popolare ad ancia doppia), accompagnato oggi dalla fisarmonica e fino agli anni trenta dalla müsa (cornamusa appenninica). Il piffero è costituito da tre parti: il musotto che è l'imboccatura che porta le ance; la canna che ha otto fori per la diteggiatura; la campana che termina lo strumento e porta in un forellino un penna di coda di gallo che serve a pulire le ance.Il costruttore più famoso è stato Nicolò Bacigalupo, detto ü Grixiu (Cicagna, 1863-1937) attivo a Cicagna (val Fontanabuona GE) dal 1900, ciò che rimane della bottega del Grixiu (strumenti musicali semilavorati e attrezzi tra cui il tornio a pedale) è conservato nel Museo etnografico Ettore Guatelli di Ozzano Taro (PR). Oggi i pifferi continuano ad essere costruiti da Ettore Losini, detto Bani, di Degara di Bobbio (PC).Ci sono gruppi musicali che hanno reitrodotto recentemente l'uso della müsa come i Musetta, gli Epinfrai, i Suonatori di Menconico e gli Enerbia.I balli che animano le feste sono di tre tipi: di coppia, di cerchio e coreografici. Nei balli di coppia oltre a valzer e mazurche c'è la polka a saltini, un modo particolare di ballare la polka con il tipico "passo delle quattro province", ballo molto impegnativo sia per la velocità del ritmo sia per la coordinazione indispensabile tra i due ballerini. Nei balli di cerchio, i più antichi, la piana, l'alessandrina, la monferrina. Nei balli coreografici la giga a due, la giga a quattro e la povera donna. Si sono persi balli come il perigordino e la sestrina mentre sembra essere stata ricostruita la bisagna.Il fatto che le zone dove la tradizione coreutica non si sia mai interrotta nel nord Italia siano solamente quattro: l'Occitania in Piemonte, la val Resia in Friuli, l'Appennino bolognese con i balli staccati e appunto le Quattro province, attira nelle vallate danzatori di danze tradizionali non solo italiani e chiama musicisti ed insegnanti per stage sia in Italia che nei paesi europei.Molte sono le occasioni di festa che legano le comunità e danno (in alcune situazioni, a causa dello spopolamento montano, dette comunità sono molto piccole o si ricompongono nel periodo estivo col rientro per le vacanze nelle case di famiglia) l'occasione di ritrovarsi, per ballare, mangiare piatti tipici, ascoltare musica, rinsaldare i legami tra chi è rimasto e chi è partito e chi non è del posto ma è disposto a fare molta strada conoscere ed incontrare personaggi e tradizioni antiche.Molti paesi o anche solo frazioni costruiscono un locale per riunirsi e ballare, a volte sono eleganti strutture altre volte costruzioni fatte alla buona, con materiali di recupero, la più simpatica è quella di Pizzonero (località che si raggiunge a piedi in val Boreca) costruita attorno ad un albero (vivo) con un tetto di teli e le pareti di frasche, per cui si balla girando attorno al tronco.Le feste più importanti:Le questue: giro per le case o cascine di un gruppo di canterini/musicisti che cantando strofe benauguranti chiede ai padroni di casa tradizionalmente uova (o cibo, vino, dolci.....) che verranno consumate dalla compagnia in bisbocce seguenti. Si svolgono generalmente per il primo maggio ma, in alcune zone prima di Pasqua, a cavallo del ferragosto o per la leva. Prendono un nome differente a secondo dei paesi, quella di Marsaglia di Corte Brugnatella in val Trebbia è il carlin di maggio, quella di Santo Stefano d'Aveto maggio, quelle di Cicogni e di Romagnese la galina grisa (a Romagnese si svolge per Pasqua il sabato Santo); mentre nei paesi a cavallo del comune di Bobbio, Corte Brugnatella e Brallo di Pregola viene festeggiata il 3 maggio e si chiama la Santa Croce. 

Il carnevale: il più caratteristico è quello di Cegni in val Staffora con la storia del brutto che vuole sposare la povera donna e il corredo di balli , ravioli e musiche attira spettatori anche dall'estero. 

La curmà di pinfri: raduno annuale di tutti i pifferai, si svolge, alla fine di ottobre a Cabella Ligure nella frazione di Capanne di Cosola, sul crinale tra la val Boreca e la val Borbera, il cuore delle Quattro province, in questa occasione oltre i musicisti della zona arrivano quelli che suonano il piffero ma vivono lontani e musicisti e ballerini europei interessati al repertorio e che trovano qui l'occasione di avere una carrellata di tutti i protagonisti e gli stili diversi.

mercoledì 5 maggio 2021

OLTREPO ALTA VAL TREBBIA-SCRIVIA LIGURE LA REGIONE DELLE 4PROVINCE

 Per Quattro province si può intendere le zone dove è diffuso un certo repertorio folkloristico legato all'uso specifico di uno strumento: il cosiddetto piffero delle Quattro province.Le province interessate sono Alessandria, in Piemonte 

Genova, in Liguria 

Pavia, in Lombardia 

Piacenza, in Emilia-Romagna Storicamente zona di transito per commercianti, eserciti, pellegrini e viaggiatori, vi passavano antiche percorrenze come la via Postumia (tracciata da Aulo Postumio Albino nel 148 a.C.) che collegava Genova ad Aquileia; la via Francigena, che durante il Medioevo portava i pellegrini dalla Francia a Roma e da qui a Gerusalemme, la via degli Abati che partiva da Bobbio, la via del sale attraverso la quale transitava, verso la pianura Padana, il sale proveniente dalla Liguria.Nei tempi andati l'area era molto più ampia, si estendeva fino alla pianura Padana a nord e al mare a sud, lambendo la provincia di Parma ad est. I cambiamenti socio-economici hanno totalmente cambiato i modi di vita tradizionali, l'inurbamento con il conseguente spopolamento delle campagne, la difficoltà di mantenere in vita usanze non più indispensabili alla vita sociale dei piccoli nuclei, l'innegabile fascino del nuovo che va a soppiantare un vecchio che portava con sé ricordi e richiami ad una vita povera e difficile ne hanno notevolmente ridotto la superficie.La definizione di un esatto confine di questa zona è difficile, l'estensione attuale è limitata alle aree montane e valligiane di val Borbera e val Curone nella provincia di Alessandria, alta valle Scrivia, alta val Trebbia, val d'Aveto, val Fontanabuona, val Pentemina in provincia di Genova, valle Staffora in provincia di Pavia, val Trebbia, val Boreca, val Tidone, val Luretta, alta val Nure in provincia di Piacenza.Si deve all'opera del fiume Trebbia e dei torrenti Scrivia, Aveto, Bisagno, Borbera, Boreca, Curone, Lavagna, Staffora, Tidone, l'aver scavato vallate impervie nelle quali la difficoltà di comunicazione e le strade tortuose - unite alla tenacia dei montanari - hanno contribuito a preservare dal rischio di estinzione una fetta importante del patrimonio culturale italiano.Molte sono le testimonianze della presenza dei Liguri fin dall'Età della pietra (villaggio neolitico a Travo, val Trebbia piacentina) e nell'età del ferro (castelliere, villaggio fortificato di Guardamonte nell'Alessandrino).Ben documentata anche la presenza dei Romani, molti i toponimi, i ritrovamenti archeologici (resti della città di Libarna in val Scrivia) e la documentazione storica (Tabula alimentaria traiana del Municipio di Velleia del II secolo d.C.). Secondo lo storico romano Polibio, nel dicembre del 218 a.C., Annibale inflisse una pesante sconfitta al console romano Tito Sempronio Longo nella battaglia della Trebbia. Alcuni toponimi della Val Trebbia e della val Boreca, come Zerba sembra rechino traccia dal passaggio delle truppe di Annibale.Dal IV secolo, sotto la pressione crescente delle popolazioni barbariche, si verificò una migrazione dalla costa ligure e dalla pianura verso le zone montuose. Si formarono così nuovi insediamenti basati su un'economia di sussistenza agro-pastorale.Dopo la caduta dei Longobardi a opera di Carlo Magno, il Sacro Romano Impero costituì i Feudi Imperiali, con lo scopo di mantenere un passaggio sicuro verso il mare, assegnò questi territori a famiglie (quali: i Malaspina, i Fieschi, i Doria, i Pallavicino, i Landi e i Farnese) che dominarono per secoli questi feudi.Napoleone abolì i feudi e il territorio venne diviso tra la Repubblica Cisalpina e la Repubblica Ligure, nel 1815 il Congresso di Vienna cedette gli ex feudi imperiali al Regno di Sardegna e nel 1861, questi territori vennero annessi al Regno d'Italia.Tra gli elementi culturali comuni di queste vallate il più noto è quello musical-coreutico. Il modo di cantare dei cori, influenzato dal trallallero genovese, il repertorio delle musiche da piffero e le danze popolari dette, appunto, delle quattro province sono preziose testimonianze di una cultura antica miracolosamente sopravvissuta fino ai nostri giorni. Accomunano questi territori anche alcune feste popolari e riti calendariali quali le questue per il calendimaggio, il carnevale e i festeggiamenti dei Santi patroni.La coppia di musicisti che suonano piffero e fisarmonica anima tutte le feste, non si balla senza musica dal vivo, con la fine della civiltà agricola-montanara sono rimasti loro i portatori della tradizione.Il repertorio musicale è corposo, antico, trasmesso attraverso i secoli (il fifaro è citato in uno scritto del Pessagno su fatti della val Fontanabuona del 1578) comprende oltre le melodie da ballo, brani che scandivano i momenti della vita contadina: questue come il cantamaggio, la galina grisa, il carlin di maggio, la Santa Croce; il carnevale con la povera donna; la partenza per la leva con leva levon; il matrimonio con la sposina (brano per accompagnare la sposa dalla sua casa alla chiesa) e altri brani "da strada" come la sestrina per accompagnare i cortei nelle varie occasioni.I pifferai più famosi furono il mitico Draghino, Ernesto Sala di Cegni, Jacmon, Giuanen e Fiur in val Trebbia.La coppia piffero-fisarmonica porta il nome, o più spesso il soprannome dei suoi componenti, alcune di quelle attive oggi sono:Bani (Ettore Losini) e Tilion (Attilio Rocca) 

Franco (Guglielmetti) e Stefanino (Faravelli) 

Marco (Domenichetti) e Cisdra (Cesare Campanini) 

Fabrizio Ferrari e Claudio Rolandi 

Stefano (Valla) e Daniele (Scurati) 

Massimo (Perelli) e Gianpaolo (Tambussi) 

Fabio (Paveto) e Buscaien (Stefano Buscaglia) La particolarità di repertorio e strumenti ha fatto si che gruppi importanti per il folk revival come i Baraban, la Ciapa Rusa, i Tendachent, i Tre Martelli, i Musicanti del piccolo borgo abbiano introdotto i brani da piffero nei loro concerti.Lo strumento principe è il piffero (oboe popolare ad ancia doppia), accompagnato oggi dalla fisarmonica e fino agli anni trenta dalla müsa (cornamusa appenninica). Il piffero è costituito da tre parti: il musotto che è l'imboccatura che porta le ance; la canna che ha otto fori per la diteggiatura; la campana che termina lo strumento e porta in un forellino un penna di coda di gallo che serve a pulire le ance.Il costruttore più famoso è stato Nicolò Bacigalupo, detto ü Grixiu (Cicagna, 1863-1937) attivo a Cicagna (val Fontanabuona GE) dal 1900, ciò che rimane della bottega del Grixiu (strumenti musicali semilavorati e attrezzi tra cui il tornio a pedale) è conservato nel Museo etnografico Ettore Guatelli di Ozzano Taro (PR). Oggi i pifferi continuano ad essere costruiti da Ettore Losini, detto Bani, di Degara di Bobbio (PC).Ci sono gruppi musicali che hanno reitrodotto recentemente l'uso della müsa come i Musetta, gli Epinfrai, i Suonatori di Menconico e gli Enerbia.I balli che animano le feste sono di tre tipi: di coppia, di cerchio e coreografici. Nei balli di coppia oltre a valzer e mazurche c'è la polka a saltini, un modo particolare di ballare la polka con il tipico "passo delle quattro province", ballo molto impegnativo sia per la velocità del ritmo sia per la coordinazione indispensabile tra i due ballerini. Nei balli di cerchio, i più antichi, la piana, l'alessandrina, la monferrina. Nei balli coreografici la giga a due, la giga a quattro e la povera donna. Si sono persi balli come il perigordino e la sestrina mentre sembra essere stata ricostruita la bisagna.Il fatto che le zone dove la tradizione coreutica non si sia mai interrotta nel nord Italia siano solamente quattro: l'Occitania in Piemonte, la val Resia in Friuli, l'Appennino bolognese con i balli staccati e appunto le Quattro province, attira nelle vallate danzatori di danze tradizionali non solo italiani e chiama musicisti ed insegnanti per stage sia in Italia che nei paesi europei.Molte sono le occasioni di festa che legano le comunità e danno (in alcune situazioni, a causa dello spopolamento montano, dette comunità sono molto piccole o si ricompongono nel periodo estivo col rientro per le vacanze nelle case di famiglia) l'occasione di ritrovarsi, per ballare, mangiare piatti tipici, ascoltare musica, rinsaldare i legami tra chi è rimasto e chi è partito e chi non è del posto ma è disposto a fare molta strada conoscere ed incontrare personaggi e tradizioni antiche.Molti paesi o anche solo frazioni costruiscono un locale per riunirsi e ballare, a volte sono eleganti strutture altre volte costruzioni fatte alla buona, con materiali di recupero, la più simpatica è quella di Pizzonero (località che si raggiunge a piedi in val Boreca) costruita attorno ad un albero (vivo) con un tetto di teli e le pareti di frasche, per cui si balla girando attorno al tronco.Le feste più importanti:Le questue: giro per le case o cascine di un gruppo di canterini/musicisti che cantando strofe benauguranti chiede ai padroni di casa tradizionalmente uova (o cibo, vino, dolci.....) che verranno consumate dalla compagnia in bisbocce seguenti. Si svolgono generalmente per il primo maggio ma, in alcune zone prima di Pasqua, a cavallo del ferragosto o per la leva. Prendono un nome differente a secondo dei paesi, quella di Marsaglia di Corte Brugnatella in val Trebbia è il carlin di maggio, quella di Santo Stefano d'Aveto maggio, quelle di Cicogni e di Romagnese la galina grisa (a Romagnese si svolge per Pasqua il sabato Santo); mentre nei paesi a cavallo del comune di Bobbio, Corte Brugnatella e Brallo di Pregola viene festeggiata il 3 maggio e si chiama la Santa Croce. 

Il carnevale: il più caratteristico è quello di Cegni in val Staffora con la storia del brutto che vuole sposare la povera donna e il corredo di balli , ravioli e musiche attira spettatori anche dall'estero. 

La curmà di pinfri: raduno annuale di tutti i pifferai, si svolge, alla fine di ottobre a Cabella Ligure nella frazione di Capanne di Cosola, sul crinale tra la val Boreca e la val Borbera, il cuore delle Quattro province, in questa occasione oltre i musicisti della zona arrivano quelli che suonano il piffero ma vivono lontani e musicisti e ballerini europei interessati al repertorio e che trovano qui l'occasione di avere una carrellata di tutti i protagonisti e gli stili diversi.

domenica 28 giugno 2020

UNITÀ LINGUISTICA DELLE 4PROVINCE: IL DIALETTO BOBBIESE (parte 3°)

DIALETTO BOBBIESE(parte 3°)
Diffusione e varianti. Il bobbiese propriamente detto, con qualche diversità lessicale o legata alla pronuncia delle vocali, è parlato nella città di Bobbio, in Val Trebbia, approssimativamente nei luoghi dell'antica Contea di Bobbio sostituita nel 1743 dalla Provincia di Bobbio fino all'unità d'Italia, che comprendeva zone oggi inserite nella provincia di Piacenza e di Pavia.La zona in cui si parla bobbiese, oltre all'antica cittadina, si può circoscrivere con alcune varianti ai comuni di Coli e Corte Brugnatella, ma anche verso nord nelle zone confinanti della provincia di Piacenza verso la Val Tidone e la Val Luretta, mentre a Travo è gia dialetto piacentino. Seguendo la Val Trebbia verso sud vi sono zone in cui è parlato nelle frazioni dei comuni di Ferriere nella bassa Val d'Aveto che danno verso la val Trebbia, ma anche in frazioni dei comuni di Cerignale e Zerba dove si registra un marcato cambio vocalitico dovuto all'influsso ligure.Nella provincia di Pavia, era parlato in alcune frazioni confinanti come Brallo di Pregola e Romagnese dove si registra qualche marcato cambio vocalico dovuto all'influsso pavese.L'Appennino piacentino [modifica]I dialetti dell'Appennino piacentino (nelle alte valli del Nure, della Trebbia e dell'Val d'Aveto) spesso risultano difficilmente intelligibili per i piacentini della collina e della pianura in quanto la parlata si avvicina maggiormente alla lingua ligure, ma anche al dialetto pavese e ad una sua variante o comunque ad una forma transitoria tra piacentino, pavese e genovese.Esempio: malè (malato, ammalato), malä in piacentino, marottu nel comune di Farini.Quanto più si abbandona il fondovalle raggiungedo frazioni distanti dai capoluoghi comunali o ci si avvicina al confine con la Liguria, quanto più sono percepibili le cadenze liguri. Ad esempio: u gàt (il gatto), al gat in piacentino, è sempre u gat anche a Ferriere, ma cambia in u gattu nelle frazioni ferrieresi. Ad Ottone le somiglianze col genovese sono ancor più marcate ed il dialetto locale è indubbiamente ligure.Bobbio, comune piacentino solo dal 1923, ha sviluppato un dialetto del tutto peculiare e distinto dal piacentino propriamente detto, essendo anticamente un centro di scambio situato lungo la Via del sale (tragitto commerciale che un tempo metteva in comunicazione la Pianura Padana con il Genovesato) dove l'odierna provincia di Piacenza confina con l'Oltrepò Pavese, la Liguria ed il Piemonte. Caratteristiche:  un fenomeno linguistico tipico del bobbiese e del piacentino è la prostesi della a per cui molti vocaboli aggiungono questa vocale alla forma tradizionale. Bsont (unto) può diventare absont e sporc (sporco) asporc se la parola precedente termina per consonante: piat absont; tüt asporc.Altro tratto comune del bobbiese e tipico in tutte le parlate emiliane è la sincope delle vocali non accentate, specialmente e. Ad esempio il sostantivo rèsega (sega), diffuso in Lombardia, nel territorio piacentino perde la seconda e per diventare rësga; il verbo lombardo lecà diventa lcä, ma per prostesi è molto comune la forma alcä. Il verbo milanese resentà (risciacquare) nel Piacentino diventa rsintä per sincope in quanto la prima vocale non è accentata e poi arsintä per prostesi. La sincope non è però così accentuata come in altre parlate di tipo emiliano.

sabato 20 giugno 2020

UNITÀ LINGUISTICA DELLE 4PROVINCE: IL DIALETTO BOBBIESE (parte 2)

DIALETTO BOBBIESE(parte 2°)
Storia ;
Bobbio e la valle del Trebbia abitata già al tempo delle popolazioni terramaricole, fu in seguito dominata dai popoli Liguri, Etruschi e i Celti dei Galli Boi, per passare successivamente ai Romani attorno al 14 a.C. La loro lingua si impose ovviamente su quella delle popolazioni locali subendo delle modifiche caratteristiche.Mentre le persone colte parlavano il latino, il popolo adottò il sermo vulgaris, cioè la parlata volgare, che in seguito, per evoluzione graduale, dette origine ai vari dialetti locali.La citadina ed il bobbiese inserito nel pagus Bagienno, faceva parte della regione romana di Liguria.Dopo i Romani l'Italia e la zona subì l'invasione e la devastazione di altri popoli, come gli Eruli, i Goti, gli Unni, i Burgundi e molte tribù barbariche di origine germanica; un breve periodo di pace lo si ebbe sotto i Bizantini con la formazione della Provincia bizantina di Liguria.Attorno al 572 la zona assieme a buona parte del nord d'Italia fu conquistato dai Longobardi che fecero di Bobbio un centro politico religioso e culturale dopo il 614, quando la zona fu assegnata all'abate missionario ed evangelizzatore irlandese San Colombano e grazie ai monaci della potente Abbazia di San Colombano si formò un feudo monastico cosmopolita con popolazioni celtiche, franche e germaniche inserito nel Ducato ligure.Nel 774 il feudo monastico del monastero di Bobbio è inserito nel regno dei Franchi e nella Contea ligure dopo la conquista del territorio da parte di Carlo Magno con allargamenti territoriali, successivamente sarà inserito in buona parte nella Marca Obertenga dopo la suddivione del territorio ligure in marche e contee.Queste popolazioni, a differenza dei Romani, non imposero i loro costumi e la loro lingua, ma differentemente accquisirono la parlata locale inserendo tipiche terminologie sopravvissute sino ad oggi, specie nella toponomastica dei luoghi.Continuando il breve escursus storico: Nel 1014 Bobbio ebbe il titolo imperiale di città e divento Contea vescovile, ma nel 1164 il Barbarossa tolse numerosi possedimento assegnandoli ai discendenti degli Obertenghi, tra i quali ebbero un ruolo di primo piano i Malaspina che crearono un vasto marchesato. Nel 1341 il territorio fu conquistato dai Visconti ed entrò a far parte del Ducato di Milano inserito nel Principato di Pavia e sottoposto ai conti Dal Verme. Nel 1743 si formò la Provincia di Bobbio passando sotto il Piemonte ed i Savoia ma dopo circa 50 anni la zona venne inserita nel Ducato ligure o di Genova e nella Divisione di Genova. Dopo l'unità d'Italia nel 1859 la provincia di Bobbio diviene circondario e passa alla nuova provincia di Pavia tornando in Lombardia. Solo nel 1923 Bobbio diviene piacentina passando quindi nell'Emilia-Romagna, ed il circondario viene smembrato e diviso tra province pavesi e genovesi. Parte dell'ex territorio bobbiese limitrofo rimane staccato e sempre unito alla provincia pavese.Nel panorama dei dialetti della provincia, quello bobbiese vanta proprie peculiarità, sia fonetiche che morfologiche e lessicali, rispetto al piacentino propriamente detto. Ciò è dovuto alla posizione geografica lungo la via di collegamento tra la Pianura Padana e il Genovese, dove il Piacentino confina con Liguria e Piemonte. Hanno influito inoltre le vicende storiche, essendo Bobbio passata sotto numerose dominazioni nel corso dei secoli: liguri, celti, romani, longobardi, franchi, signorie dei Visconti e degli Sforza, Spagna, Austria, repubbliche di Genova e Ligure, Piemonte, Lombardia ed infine sotto la provincia di Piacenza nel 1923, rimanendo sempre autonoma; quindi il dialetto locale non poteva che subire varie modifiche e influenze e rimanendo unico e non assimilabile.A partire dagli anni cinquanta, e con l'avvento della civiltà industrializzata, il territorio bobbiese pur isolato ha subito il più massiccio spopolamento specie giovanile ma anche il popolamento di gente, specie commercianti ed artigiani, esterna al territorio e con dialetti differenti. Ciò ha contribuito all'imbarbarimento dell'originale dialetto ormai parlato da pochi anziani.Del dialetto di Bobbio, oltre ai libri di storia, cultura e allo specifico dizionario, ci sono numerosi scritti e sono tipici il calendario ed il lunario bobbiesi, oltre a feste locali, folcloristiche e teatrali curate dall'associazione locale culturale "Ra familia Bubièiza".

UNITÀ LINGUISTICA DELLE 4PROVINCE:IL DIALETTO BOBBIESE

DIALETTO BOBBIESE(parte 1°)
Il dialetto bobbiese (ar dialèt bubièiś) è un dialetto della lingua emiliano-romagnola dell'appennino ligure, appartenente al gruppo linguistico gallo-italico tipico dei dialetti dell'Italia settentrionale, parlato a Bobbio e nella zona appenninica lungo la Val Trebbia della provincia di Piacenza ed in zone limitrofe e confinanti della provincia di Pavia e della provincia di Alessandria.Risente di forti contaminazioni dovute alla lingua lombarda (soprattutto nel lessico e in diverse espressioni idiomatiche), a quella piemontese e a quella ligure.Presenta vistose somiglianze con il lombardo occidentale o insubre, dovute ai secolari rapporti che la città di Bobbio e il suo circondario hanno intrattenuto con Milano.Similmente ad altre parlate del piacentino e delle province vicine quali il pavese, piemontese e ligure, è un dialetto transitorio tra le lingue emiliano-romagnola, lombarda e ligure, avendo caratteristiche proprie di entrambe.Il primo a codificare il dialetto bobbiese fu Bernardino Biondelli, nel Saggio sui dialetti Gallo-Italici pubblicato nel 1853. Il Biondelli lo pone nei dialetti emiliani e nel gruppo "Parmigiano", che secondo la sua catalogazione comprende il Parmigiano, il Piacentino, il Bobbiese, il Borgotarese, il Bronese, il Valenzano ed il Pavese. Insieme al dialetto pavese occupa un ruolo centrale nell'ambito delle parlate gallo-italiche, confinando direttamente con tutti i quattro gruppi in cui esse si usano dividere ed essendo nel cuore delle quattro province.È nato dal latino volgare innestatosi sulla precedente lingua celtica parlata dai Galli che popolavano parte del Nord Italia. Come gli altri dialetti gallo-italici, nella storia ha subíto diverse influenze, tra cui quella longobarda (la cittadina fu sede di un feudo longobardo nel Medioevo). In epoche più recenti è stato influenzato dal francese e dal toscano. Ad esempio tramite il francese è stato introdotto il vocabolo gudron e successivamente catràm dal toscano, entrambi col significato di catrame.

venerdì 12 giugno 2020

VIA DEI MALASPINA, VIA DEGLI ABATI

Il percorso della via Francigena che oggi conosciamo è quello descritto nel suo diario di viaggio dall’Arcivescovo Sigerico, nel ritorno da Roma verso Canterbury tra il 990 e il 994. Giunto a Pontremoli e dovendo attraversare l’Appennino, Sigerico scelse la via del passo della Cisa (Monte Bardone), che consentiva di raggiungere, disegnando un ampio arco, le città della pianura (Fidenza, Piacenza, Pavia).
Esisteva tuttavia anche un altro percorso, più antico, che passava attraverso i monti ed era praticato sin dal VII secolo soprattutto da chi viaggiava a piedi, quale tragitto più breve da Pavia a Lucca e verso Roma, transitando per Bobbio, Bardi, Borgovalditaro e infine Pontremoli.
Il percorso, utilizzato già dai sovrani longobardi prima della conquista della Cisa, controllata dai bizantini, toccava anche l’abbazia di Bobbio, nel cuore dell’Appennino, dove i pellegrini diretti a Roma e provenienti dalla Francia e dalle Isole Britanniche passavano a venerare le spoglie di San Colombano (+615), grande abate irlandese e padre, con San Benedetto, del monachesimo europeo. (Per questo tanto a Pavia che a Lucca esisteva già in età longobarda un hospitale di San Colombano). Il tragitto era parimenti seguito dagli abati di Bobbio per andare a Roma presso il pontefice, da cui l’abbazia direttamente dipendeva.
Ancora oggi questo storico percorso, denominato ora “Via degli abati” (o “Francigena di montagna”), che attraversa i valichi e le verdi vallate dell’Appennino toccando i centri medievali di Bobbio, Bardi, Borgovalditaro e Pontremoli, lontano dal traffico stradale e dall’afa della pianura, rappresenta una suggestiva variante per i viandanti della Francigena, specialmente durante la stagione estiva. 
La mappa sottostante della Via Francigena (pubblicata nel sito del Comune di Gambassi Terme, Toscana, anno 2003), oltre a tratteggiare il percorso di Sigerico dalle Alpi a Roma, segnala anche la variante montana che passa per Bobbio e che corrisponde alla Via degli Abati.