martedì 22 maggio 2018

DA LIBARNA A SERRAVALLE SCRIVIA

All'interno della divisione della penisola italica in undici regioni decisa da Augusto, Libarna venne compresa nella Regio IX — la Liguria — estesa, a sud del Po, dalle Alpi Marittime a quelle Apuane. È citata in varie fonti letterarie latine e greche come Plinio, Claudio Tolemeo, il geografo Guido, l'anonimo ravennate e forse Sozomeno; compare nell'"Itinerarium Antonini" e nella "Tabula Peutingeriana", l'unica carta topografica dell'antichità romana pervenutaci e databile intorno al IV secolo.
La tradizione manoscritta presenta alcune varianti del toponimo comunemente in uso, quali Libarium, Libarnum, Lavarie e Levarnis. Il termine Libarna viene posto in relazione con i Liguri, dal momento che il radicale Lib- troverebbe riscontro nell'etnico dei Libui, popolo di attribuzione etnica incerta anticamente stanziato nelle zone di Brescia e di Verona. Per contro, il nome della città potrebbe avere attinenza con il termine "pianura", indicante la natura del luogo in cui sorse il nucleo abitativo originario.


Libarna preromana e i Liguri

L'insediamento libarnese occupava la parte superiore di due terrazzi morfologici formatisi a partire dall'Era Quaternaria per l'attività erosiva dei torrenti Scrivia e Borbera; ebbe un territorio pianeggiante e stabile, protetto dal rischio di inondazioni, ricco d'acqua e facile da scavare. Le più antiche tracce di frequentazione preistorica del territorio libarnese sono costituite da alcuni manufatti litici in selce e quarzo; più consistente è la documentazione archeologica risalente all'Età del Ferro.
Il centro preromano di Libarna era occupato dai Liguri, la più antica popolazione dell'Italia settentrionale, stanziata in un ampio territorio corrispondente alle aree degli odierni Piemonte, Lombardia, Liguria, Toscana settentrionale, Isola d'Elba, Corsica. I singoli gruppi etnici tribali, che non risultano in possesso della capacità di scrivere, non erano entità separate e distinte fra loro; sin dai tempi più antichi intercorrevano scambi e comunicazioni dipendenti da rapporti di vicinato. Le varie stirpi liguri avevano tutte un fondo culturale comune, un comune linguaggio e caratteristici riti funebri che prevedevano l'incinerazione.
Le fonti descrivono i Ligures come uomini di statura medio-bassa, valorosi nei combattimenti e abili nell'uso delle fionde che utilizzavano al riparo di fortificazioni in pietra e in postazioni create per tendere imboscate. Essi vivevano per lo più in condizioni di povertà; applicavano modeste tecniche agricole, si dedicavano all'allevamento ovvero alla pesca. Il territorio di Libarna era occupato dai Ligures Bagienni, una popolazione stanziata nella zona sud-occidentale dell'odierno Piemonte, a ovest delle Langhe.
Nella storia antica del Piemonte i Liguri ebbero un ruolo di rilievo; le truppe romane combatterono a lungo contro le loro tribù e trovarono maggiore difficoltà ad affermarsi nelle aree più povere, impervie e meno sviluppate. In numerosi territori, a quelle liguri, si erano sovrapposte popolazioni celtiche, ancor più esperte in fatto di armi e di tecniche. I Romani pianificarono un'espansione ad ampio raggio che coinvolse anche i Celti e tutte quelle etnie liguri che ancora godevano di una relativa indipendenza.
La trasformazione dell'insediamento libarnese preromano in roccaforte d'altura rispecchia le esigenze economiche e strategiche dei Romani nella conquista della Liguria interna.


Libarna romana

Nell'area posta sulla sinistra dello Scrivia convergevano diverse vie romane. Lo sviluppo di Libarna, così come quello di Dertona, è riconducibile alla Via Postumia, strada consolare tracciata nel 148 a.C. da Genua ad Aquileia. La Via Postumia determinò una crescita del prestigio di Libarna, che divenne punto di riferimento e di attrazione delle popolazioni residenti nei territori circostanti ed ebbe un ruolo di rilievo nel sempre più intenso processo di romanizzazione delle aree finitime. Tale via fu inoltre il collegamento più diretto fra il nodo stradale di Tortona e il porto di Genova e fece sì che Libarna fosse attraversata dalle merci di scambio e ne costituisse una fondamentale tappa di smistamento. A seguito della concessione, nell'89 a.C., del diritto latino ai popoli della Transpadana e a quelli a sud del Po alleati ai Romani, anche Libarna divenne una colonia latina e al suo interno furono probabilmente riuniti diversi gruppi tribali.
 La città, sorta su un preesistente abitato ligure, fu centro amministrativo di una regione piuttosto ampia, che si estendeva a est fino alla val Trebbia, toccava a nord l'agro tortonese, a ovest la zona di Acqui e a sud il distretto di Genova. Data l'ampiezza dell'antica giurisdizione libarnese e il prestigio che essa conobbe in età imperiale, non andrebbe sottovalutata una sua connessione con le zone limitrofe, ad esempio con la val Borbera, la cui storia è legata a quella dei maggiori siti di epoca romana a essa più vicini, ovvero Genua, Dertona, e appunto Libarna. Fra quest'ultima città romana e l'area della val Borbera si è riscontrata una serie di rapporti di carattere economico e commerciale basati principalmente sulla fornitura di manodopera e di legname.
Le antiche forme giuridiche legate alla conduzione del suolo furono adattate al nuovo contesto latino e fu avviata anche la catastazione del territorio. Il centro cittadino era collegato a un fitto sistema di borghi e di villaggi rurali. Si può supporre che nell'area libarnese vi fossero terre di proprietà privata, agro pubblico del popolo romano affidato alla comunità dietro pagamento di un tributo e, nelle zone più alte, compascolo. L'attività principale dei Libarnesi fu probabilmente l'agricoltura, rivolta alle terre vicine, ai villaggi e alle maggiori vie di comunicazione, che rappresentavano un fattore di attrazione e una ragione di attività economiche più avanzate.
Anche alla giurisdizione di Libarna l'alleanza con Roma imponeva la fornitura di contingenti militari su richiesta del governo centrale.
Nel 49 a.C. la città divenne municipium; nello stesso periodo fu iscritta nella tribù Maecia e venne determinato il sito destinato al centro urbano. Tra il II ed il I secolo a.C., la concessione della cittadinanza, prima latina e poi romana, garantì a Libarna un piano amministrativo efficiente e articolato. Il potere decisionale era nelle mani del senato locale costituito dai decuriones, proprietari terrieri che rappresentavano il ceto nobiliare. Per accedere all'ordo dei decuriones occorrevano un'età di 25-30 anni e un censo di almeno 100.000 sesterzi. Non è escluso che, al momento dell'ammissione, si dovesse pagare una tassa, così come per accedere ad altre cariche pubbliche. I principali magistrati erano i quattuorviri, eletti annualmente e distinti in due coppie: i duumviri iure dicundo avevano poteri giurisdicenti, competenze amministrative, facoltà decisionali in ambito penale; i duumviri aediles, invece, erano dediti all'approvvigionamento cittadino, al controllo sulla regolarità dei commerci, alla manutenzione di strade ed edifici, nonché all'allestimento di giochi pubblici. Le attività finanziarie erano affidate alla supervisione dei quaestores. Ogni magistrato era solitamente affiancato da funzionari, segretari e scribi.


Archeologia e urbanistica libarnesi

Durante i lavori per l'apertura della cosiddetta "strada regia" che da Genova conduceva a Novi, avvenuti tra il 1820 e il 1825, quasi casualmente si verificarono i primi ritrovamenti dei resti della Libarna romana. Gli iniziali interventi di scavo rispecchiavano il clima di entusiasmo, curiositas e fervore romantico che caratterizzò la ricerca archeologica per quasi tutto il XIX secolo. Successivamente, invece, anche per evitare lo smantellamento dei monumenti e il saccheggio dei materiali rinvenuti, dai primi anni del Novecento agli scavi venne applicato un metodo sperimentale preventivo, atto a salvaguardare i resti da dispersione e distruzione. Lo storico centro di Libarna è oggi uno dei maggiori siti archeologici oggetto di scavi in Italia.
Grazie allo sviluppo di una pianificazione urbanistica programmata, nel corso del I e del II secolo l'attività edilizia libarnese fu piuttosto intensa. Nell'ambito delle costruzioni, potenziata dall'estrazione dell'argilla locale, l'industria laterizia era fondamentale. Essa dava lavoro a muratori, carpentieri, scalpellini, mosaicisti e decoratori. Le abitazioni, di dimensioni contenute, si susseguivano in base a schemi ora paralleli, ora ortogonali agli assi stradali. Tipica urbs romana, Libarna era costituita da isolati racchiusi tra cardines e decumani, ovvero fra due ordini di vie parallele intersecantisi ad angolo retto. Alla linearità della rete viaria si univa la regolarità della dislocazione degli impianti pubblici, che vedeva il foro in posizione centrale. Selciate a larghi blocchi, le strade erano fiancheggiate da marciapiedi; le principali — larghe circa sei metri — erano lastricate con blocchi di arenaria di Serravalle, mentre per quelle acciottolate venivano impiegati i sassi del torrente.
In un primo momento, l'approvvigionamento idrico di Libarna fu garantito da un sistema di pozzi freatici scavati nel sottosuolo in profondità anche superiori ai sei metri. In seguito all'espansione della città venne creato un complesso sistema di condutture per la raccolta e la distribuzione dell'acqua. L'acquedotto libarnese, modello di alta ingegneria idraulica romana, costituiva uno dei più lunghi tracciati in Piemonte e la sua portata era all'incirca di 400 m³/h.
Nel settore nord-orientale di Libarna sorgeva il teatro, edificato fra il I e il II secolo. La struttura rispettava le prescrizioni vitruviane connesse al fenomeno della propagazione dei suoni, imprescindibile nella scelta del sito, e poteva ospitare sino 3.800 spettatori. Resti di intonaci dipinti e di marmi impiegati per il rivestimento delle pareti attestano il lavoro di artigiani qualificati preposti al coordinamento delle maestranze e della manodopera servile.
Di forma ellittica leggermente schiacciata era invece l'anfiteatro, costruito a terrapieno per questioni di ordine economico. La struttura, databile all'età di Claudio (41-54), costituiva il luogo deputato allo svolgimento dei giochi pubblici detti ludi gladiatori e delle venationes, spettacoli di caccia particolarmente cruenti. Le manifestazioni presentate nell'arena dovevano attirare una grande quantità di pubblico dai territori vicini a Libarna, dal momento che le gradinate dell'anfiteatro, oggi scomparse, avevano una capacità di circa 8.000 spettatori. Fra il teatro e l'anfiteatro sono stati rinvenuti i resti di una costruzione identificata con le terme. Nello stesso quartiere vi era una fullonica dove si tinteggiavano le stoffe.
Di certo a Libarna esistevano templi, altari e sacella dedicati a varie divinità, maggiori o minori, il cui culto si affiancava a quello imperiale.
L'intenso scambio commerciale fa supporre la presenza in città di strutture ricettive come alberghi e locande provvisti di adeguati stallaggi. Non saranno mancate nemmeno officine per bardature e finimenti in metallo e altre di sellai e di carradori.


Epigrafia

Sebbene sia influenzata dalla casualità dei reperti e dallo stato spesso lacunoso dei testi, la lettura delle epigrafi permette di ricavare notizie precise su diversi aspetti della vita politica, religiosa ed economica di numerose città liguri dell'impero romano. La maggior parte delle iscrizioni inerenti Libarna si colloca fra il I e il II secolo. In diverse epigrafi, oltre a essere ricordate alcune gentes locali, vengono menzionati altri nomina di libarnesi, di cui però non si possono ricavare informazioni precise.
Oltre a distinguersi nel contesto urbano, alcuni membri dell'aristocrazia locale ottennero anche qualche carica di prestigio al di fuori del municipium di appartenenza. Raramente tali illustri personaggi vennero ricordati nel luogo d'origine; in Liguria ve ne furono alcuni che, avendo assunto obblighi municipali o sacerdotali nelle terre natali, meritarono la riconoscenza dei concittadini per il loro impegno, consistente per lo più in elargizioni economiche ovvero interventi evergetici (donazioni alla collettività). Il ruolo considerevole assunto dall'iniziativa privata nello sviluppo urbanistico di Libarna in età imperiale è attestato da un'iscrizione (CIL V 7427) nella quale è ricordato tale Caius Atilius Bradua, appartenente alla famiglia degli Atilii, una delle più influenti a Libarna. Costui a proprie spese — "pecunia sua" — finanziò la lastricatura del foro e fece costruire un imprecisato edificio, variamente identificato col foro stesso o col teatro. Alla medesima famiglia apparteneva anche Cnaeus Atilius Serranus, che fu flàmine augustale e forse anche patrono della colonia. Se la lettura "[p]atr(onus) co[loniae]" presente sull'iscrizione frammentaria riportata in CIL V 7428 fosse corretta, sarebbe legittimo pensare che verso la fine del I secolo Libarna avesse chiesto e ottenuto di mutare il proprio statuto da municipale a coloniario, ritenuto di maggior prestigio.
Considerato il suo cognome greco, era probabilmente un liberto della stessa gens il Marcus Atilius Eros ricordato in CIL V 6425, che rivestì la carica sacerdotale di sèviro augustale a Dertona e a Libarna. Per essere ammessi nel collegio dei seviri occorreva versare una tassa, il che sarebbe indizio del possesso da parte di Marco Atilio Eros di capacità economiche non trascurabili. Durante il I secolo si consolidò infatti il potere di un ceto medio formato in gran parte da liberti, che inizialmente affiancò e in seguito sostituì la tradizionale classe dirigente cittadina.
Fra i cittadini benemeriti menzionati nelle iscrizioni libarnesi vi è poi l'eques Quintus Attius Priscus (CIL V 7425), un esponente dell'aristocrazia locale che ricoprì svariate magistrature e cariche religiose di prestigio. Appartenente alla tribù Maecia, egli fu edile, duumviro quinquennale, flàmine augustale, pontefice e prefetto dei fabbri, ossia comandante del genio. Fu inoltre prefetto di coorti ausiliarie di leva locale: la I Hispanoum, la I Montanorum e la I Lusitanorum. In seguito al Bellum Suebicum ("guerra contro gli Svevi") del 97 voluto da Nerva, cui prese parte in qualità di tribunus militum della Legio I Adiutrix, l'imperatore gli conferì prestigiosi dona militaria: corona aurea, hasta pura, vexillum. La sua notevole carriera equestre culminò nel comando, in veste di prefetto, dell'Ala I Augusta Thracum, un reggimento di cavalleria ausiliaria. La dedica della plebe non sarà stata posta soltanto a titolo onorifico, ma anche come riconoscimento della città per qualche beneficio ricevuto da Quinto Attio Prisco al tempo delle sue magistrature in patria.
Materiale epigrafico relativo a Libarna è stato rinvenuto anche in val Borbera: in una lapide tombale ritrovata nel 1850 a Borghetto (CIL V 7432) è attestata la presenza in città della gens Iulia e della gens Livia. Un'ara rinvenuta a Roccaforte Ligure nel 1822 (CIL V 7423) testimonia invece il culto delle Matrone, divinità di origine gallica venerate ancora in età romana, alle quali l'altare fu dedicato libens merito: oggi si direbbe "per grazia ricevuta".
Risalgono al periodo cristiano alcune epigrafi funerarie e una serie di iscrizioni greche (ICI 120-134) riportate su oggetti votivi databili al VI secolo, provenienti dalla Terra Santa e ritrovati nel 1910 nella cripta della basilica di San Colombano a Bobbio.


Numismatica

La fascia orientale dell'abitato ha restituito vari reperti numismatici che documentano una continuità vitale della città in epoca imperiale. A questo periodo sono riconducibili monete emesse col nome di personaggi diversi dall'imperatore, in base alla consuetudine del princeps, iniziata con Augusto, di celebrare i propri familiari. Oltre a molti nominali di Augusto (databili fra il 23 a.C. e il 17 d.C.), il cospicuo numero delle monete dell'età giulio-claudia (14-54) attesterebbe un periodo di intensi scambi commerciali per il centro urbano, mentre i pochi esemplari di epoca repubblicana, rinvenuti negli strati scavati in maggiore profondità, testimonierebbero una frequentazione sporadica dell'area libarnese prima della pianificazione cittadina.


Scultura

Sono pervenuti frammentari esempi di statuaria libarnese di piccole dimensioni destinati alla decorazione, identificati come manifestazioni scultoree di carattere privato, così come alcuni bronzetti ritraenti figure sacre. Carichi di significati religiosi e apotropaici dovevano essere molti degli oggetti ornamentali scolpiti in materiali preziosi come l'ambra, l'agata e il diaspro, apprezzati presso i Romani per i poteri magici, protettivi e medicamentosi che venivano loro attribuiti.
Le testimonianze — in massima parte frammentarie — relative ai manufatti di vario genere e impiego, come il vasellame in ceramica, vetro e bronzo sono utili per la conoscenza della città, del gusto estetico, delle mode e delle abilità tecniche acquisite dall'artigianato in età imperiale. Tra la suppellettile più comune, le lucerne costituiscono il prodotto maggiormente diffuso, utilizzato per l'illuminazione domestica e dei luoghi di culto, ma anche come corredo funebre. Fra gli oggetti di uso quotidiano sono stati ritrovati esemplari di chiavi in ferro, vari tintinnabula (campanelli metallici legati a credenze magico-apotropaiche), ami e arpioni attestanti la pratica della pesca. Vi sono poi orcioli, piatti, pentole da cucina, parti di anfore d'importazione ispanica utili per il trasporto e la conservazione del vino e i cosiddetti turibula, bracieri o incensieri probabilmente deputati a cerimonie propiziatorie. Vari tipi di sonde, spatole atte a mescolare unguenti, aghi per la sutura e pinze costituiscono esempi di attrezzatura chirurgica. Per quanto riguarda il gioco, si possono annoverare una trottola di legno con inserti in bronzo, pedine e dadi. Pertinenti ai lavori femminili sono fusi in legno e in osso per la filatura e frammenti di telaio. Fra gli accessori e gli oggetti dedicati alla cosmesi, sono stati trovati decorazioni in pasta vitrea e in perle; spilloni in argento, osso o bronzo usati per trattenere i capelli; piccoli contenitori in vetro e alcuni specchi. Tipici dell'abbigliamento maschile sono infine fibulae in bronzo, fibbie per lo più del tipo a cerniera diffuso in epoca augustea e tiberiana.


Conclusioni

 Se inizialmente Libarna servì come stazione provvisoria di passaggio e come deposito di rifornimenti per l'esercito romano impegnato nelle battaglie contro le popolazioni liguri, in seguito essa si sviluppò come nucleo abitato e strategico definitivo. La sua importanza è testimoniata dalla larghezza delle strade, dall'attraversamento della città da parte della Via Postumia, ma anche da un assetto urbanistico nel complesso attentamente pianificato. All'epoca del suo massimo splendore, la città fu probabilmente popolata da un numero consistente di abitanti, che potrebbe oscillare dai quattro- ai settemila. L'insediamento libarnese visse la sua fase di decadenza a partire dal V secolo, periodo al quale risalgono le ultime citazioni della zona, così come le ultime monete fino ad ora ritrovate.
La città subì un forte spopolamento e perse la sua importanza strategica, militare e commerciale, senza riuscire ad acquisire un nuovo ruolo all'interno della mutata economia feudale. Più che a una solida prosperità, Libarna dovette probabilmente il suo prestigio alla manifestazione effimera di un evergetismo talvolta venuto da lontano.
Non è escluso che il centro libarnese possa essersi gradualmente svuotato anche per la forza attrattiva esercitata da Dertona, economicamente più fiorente, che in età augustea conobbe una rifondazione coloniaria.
Se in epoca imperiale la sua posizione strategica aveva incrementato il benessere della città, durante le invasioni barbariche del V secolo tale centralità ne accelerò forse la fine. L'abbandono dell'abitato per la nuova e vicina sede di Serravalle accomuna Libarna ai centri che si estinsero per la mancanza di difese stabili e adeguate. Si può ipotizzare che la città subì un arresto definitivo nel suo sviluppo in seguito alle distruzioni operate in Liguria dal re longobardo Rotari nel 643, dal momento che non ebbe continuità vitale nel Medioevo e, per lungo tempo (fenomeno assai raro nell'Italia settentrionale), se ne perse addirittura il toponimo, salvo per una lontana reminiscenza aggiunta alla Pieve locale che mantenne, storpiandolo, il nome romano plebs de Linverno o de Inverno, come dimostrano alcuni documenti medievali tortonesi.

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