La marca Obertenga e i Feudi Imperiali
Uno di questi itinerari dovette seguire il re Liutprando quando, nel 725, partì da Pavia con un corteo di prelati, di nobili e di popolo per presenziare personalmente alla traslazione delle spoglie di Sant'Agostino nella basilica di San Pietro in Ciel d'Oro, dove sono tuttora conservate. Il santo era morto a Bona, in Algeria, nel 430 d.C., e le sue spoglie già nel VI secolo erano state trasferite in Sardegna per sottrarle agli Arabi che avevano invaso tutto il Nord Africa. Quando nell'VIII secolo anche la Sardegna venne invasa, Liutprando riuscì a riscattare le preziose spoglie, che giunsero via mare e furono sbarcate a Genova. [Da questo viaggio del re prenderebbe nome il monte Liprando, posto lungo il crinale che separa le valli Pentemina e Brevenna, che costituiva una comoda via comunicazione.]
In funzione antisaracenica erano state costituite da Berengario II, nel 952, le marche Arduinica, Aleramica ed Obertenga, in un territorio che si estendeva ad arco dalle Alpi Marittime fino al Tirreno. Vi erano sparsi numerosi castelli, sistema portante nell'azione di controllo e di difesa della regione. Le Quattro Province erano incluse nella marca Obertenga, che si estendeva da qui fino alla Toscana.
Ma l'unità della marca, venute meno le cause principali in ragione delle quali era stata costituita, si sgretolò e si indebolì sempre più. Dal ceppo obertengo dei marchesi di Toscana ebbe origine la numerosa e longeva discendenza dei marchesi Malaspina, il cui dominio feudale era stato ufficialmente sancito dal diploma di investitura di Federico Barbarossa a Obizzo Malaspina, nel 1164.
I Malaspina estendevano i loro possessi sull'ampio arco di vallate che andavano dalla Lunigiana fino al Tortonese. Il carattere tipicamente montuoso del loro territorio, che veniva a trovarsi come isolato in un quadrato ai cui vertici erano le città di Genova, Tortona, Piacenza e la Lunigiana, consentì alla casata di conservare per secoli la propria autonomia. All'inizio la marca si presentava ancora nella sua unità, e Obizzone, diretto discendente di quell'Oberto Obizzo I al quale era toccata la quarta parte dell'intero patrimonio obertengo, fu tra i personaggi di primo piano nella lotta fra i Comuni e l'Impero. Tre anni dopo la sua investitura, per ricambiare i favori imperiali, corse in aiuto del Barbarossa, salvandolo dall'agguato di Pontremoli. L'imperatore, sceso per la quarta volta in Italia, dopo aver conquistato Roma, era stato costretto ad un ritorno in patria a causa di un'epidemia. Il marchese Obizzo lo scortò lungo tutti i suoi feudi montani, passando per Oramala e Sant'Alberto di Butrio, facilitando il suo ritorno in Germania.
La rocca di Oramala fu tra le dimore preferite dei Malaspina, nel periodo di maggior splendore. Costruita sulla sommità di un colle boscoso, di cui sembra il naturale prolungamento, domina dall'alto la piana di Varzi, spingendo lo sguardo verso Sud fino alla zona di Pregola, dove si trovavano altre fortezze dei Malaspina. Dopo un periodo di scontri e guerre, Obizzo il Grande aveva suscitato tra gli appartenenti alla famiglia l'amore per le tradizioni cavalleresche, il culto per la gentilezza e la cortesia. La rocca della valle Staffora era meta di numerosi trovatori. Qui si levarono i primi canti provenzali in Italia.
In seguito la casata andò incontro ad un lento ma continuo sfaldamento. Una delle principali cause era l'abitudine di frazionare i feudi, dividendoli in parti uguali fra i figli maschi. Come conseguenza di queste ripetute suddivisioni del patrimonio, nacquero lotte tra i diversi rami della stessa famiglia, che portarono alla dispersione dei possedimenti. La divisione più rilevante, stipulata da Obizzino e Corrado l'Antico, nipoti di Obizzo il Grande, segnò la distinzione araldica che da allora indicò i rami della famiglia. Da Corrado l'Antico discese il ramo dello Spino Secco. Da Obizzino discese il ramo dello Spino Fiorito. Lo stemma araldico, in campo dorato e sormontato da un'aquila, simbolo dell'Impero, aveva nel primo caso un rovo con sei rami muniti di aculei; nell'altro il rovo era decorato, alle estremità, da sei rami di fiori di spino.
Le castellanie, in seguito, furono sempre più soggette all'aggressione della feudalità minore, cresciuta ai margini, e delle importanti famiglie cittadine che miravano ad annettere domini rurali ai loro possedimenti. Alla periferia del loro territorio cominciavano a crescere e a rafforzarsi le città, che cercavano di espandere la loro influenza nelle valli, lungo le quali transitavano i commerci fra la pianura e la zona costiera.
I maggiori feudatari incontravano difficoltà nell'amministrare i castelli più lontani, dei quali a volte erano costretti a cedere rendite e pedaggi ai signori che li governavano quali loro rappresentanti. Questa situazione indeboliva progressivamente i feudi, che rimanevano sempre più esposti all'azione di alcune importanti casate, che nel frattempo si erano rafforzate, e che cominciavano a far sentire la loro presenza nella regione.
I Fieschi di Lavagna, lontanamente imparentati con gli Obertenghi, avevano trovato nella città di Genova un ostacolo alla loro espansione nella fascia costiera. Favoriti dal loro pontefice Innocenzo IV Fieschi, si erano creati un dominio feudale nell'entroterra, nei territori che in precedenza erano appartenuti ai Malaspina. In un primo tempo avevano acquisito feudi in Lunigiana e in val di Vara, spingendosi in seguito verso ovest. Non ostacolati da Genova, acquistarono i feudi di Savignone, Montoggio, Crocefieschi e Casella, occupando interamente l'alta valle Scrivia. Da questa posizione potevano controllare efficacemente la strada che proveniva da Genova e proseguiva in direzione della pianura. Il controllo fu ancora più efficace dopo l'acquisto di Mongiardino e di Cremonte, nella stessa val Borbera. La loro espansione fu completata con l'acquisizione di Torriglia e di Carrega, lungo la via del monte Antola, di Grondona in valle Spinti, e di Garbagna in val Grue, in pieno territorio tortonese.
Lo sforzo compiuto dai feudatari per acquisire una maggiore indipendenza dalle grandi potenze confinanti, ed il desiderio di unirsi in difesa dei comuni interessi e privilegi, si concretizzò nel 1495. Massimiliano I, riaffermando la supremazia dell'Impero sull'Italia settentrionale, investì dei feudi Ludovico il Moro; essi acquisirono in questo modo una loro consistenza politica, e vennero chiamati Feudi Liguri Imperiali.
Anche i Fieschi, come gli Spinola, avevano ottenuto, nella persona di Gian Luigi il Vecchio, il riconoscimento ufficiale dell'Impero, con l'investitura del 1495. Tuttavia, la loro politica aggressiva nei confronti di Genova, che minacciavano ripetutamente dalle loro postazioni appenniniche, ed il loro propendere su alcune questioni più per la Francia che per Carlo V e l'Impero, li portarono ad una grave crisi e ad una quasi totale perdita dei loro domini. Dopo la morte di Sinibaldo Fieschi, le vicende precipitarono in occasione della fallita congiura di Gian Luigi Fieschi. Questi il 2 gennaio del 1547, con una sortita, tentò di mettersi a capo della Repubblica genovese, avendo come obbiettivo l'uccisione di Andrea Doria. Ma il piano non riuscì. Scattò allora la rappresaglia dei Doria, unita all'intervento dell'imperatore Carlo V, che aveva messo a capo delle sue milizie, nell'occasione, Agostino Spinola. Quest'ultimo, da tempo in lotta con i vicini feudatari, sperava di ricevere come compenso gli eventuali feudi confiscati. I congiurati si erano rifugiati nella fortezza di Montoggio, che cadde dopo un lungo assedio, segnando la loro definitiva sconfitta.
I Doria, ricevuta l'investitura sui feudi da Carlo V nel 1549, avevano rivolto le loro principali attenzioni alla parte più orientale dei loro domini, senza interferire con la presenza degli Spinola in valle Scrivia e in val Borbera. La base del loro comando era stata insediata nel castello di Santo Stefano, in val d'Aveto. In seguito la loro politica espansionistica si concretizzò con ripetuti acquisti di castelli già appartenuti ai Fieschi, dovendosi guardare dalla concorrenza di alcune importanti famiglie genovesi che nel frattempo si erano rafforzate ed affacciate in val Trebbia, acquistando beni messi in vendita dai discendenti della famiglia Malaspina. Fra questi, i Centurione, mercanti genovesi, erano entrati in possesso dei feudi di Fontanarossa e Campi, ed avevano fatto costruire il palazzo fortezza di Gorreto.
I Doria avevano acquistato il feudo di Ottone, con il castello. Agli anelli di ferro, infissi nelle solide mura, pare venissero appese le membra squartate dei malfattori. Durante la loro dominazione furono emanati gli "Statuti dei Doria di Ottone", derivati dai "Codici di Cariseto" precedentemente diffusi dai Malaspina. Le punizioni previste, per chi veniva meno alla legge, erano molto dure. Ancora oggi in val Trebbia si dice "giustizia di Cariseto" per indicare un giudizio severo.
Più a Nord, nelle terre comprese fra il Trebbia e lo Staffora, gli eventi storici erano ancora legati ai complessi casi della famiglia Malaspina. La proprietà del castello di Pregola, sede della linea più importante della famiglia, era divisa fra i suoi membri. Nel 1570 il marchese Gian Maria tentò di impadronirsene con il tradimento, ma il tentativo fallì. Per rappresaglia, Gian Maria devastò i territori di Zerba e Belnome, uccidendo uomini e donne e razziando il bestiame. Cinque anni dopo tentò nuovamente di impossessarsi del castello. Non riuscendo a portare a termine l'impresa, lo incendiò e lo distrusse. Per i suoi misfatti gli furono confiscati tutti i beni.
Con il trascorrere del tempo, per il mutare delle condizioni storiche, in tutta la regione apparivano superate le originarie funzioni dei castelli, edificati in epoca medioevale sulla sommità dei poggi, in luoghi di più facile difesa. Nei fondovalle si aprivano nuove vie di comunicazione, e nei centri attraversati venivano costruiti i palazzi cui faceva capo la giurisdizione dei feudi. Questi vennero progressivamente elevati da semplici signorie a baronie, contee, marchesati e principati, conferendo loro un crescente prestigio. Le ricche famiglie cittadine sostituirono gradatamente gli antichi feudatari finiti in rovina. Nell'acquisto di beni fondiari trovavano modo di investire i capitali accumulati con il commercio, e potevano inoltre fregiarsi di titoli nobiliari.
Ma nella struttura dei Feudi Liguri Imperiali venne mantenuto, alle spalle di Genova, un territorio indipendente, che procurò sempre alla città preoccupazioni e danni ingenti. Diverse volte Genova tentò di entrarne in possesso, proponendone anche l'acquisto all'imperatore con grosse somme. Ma i feudatari, guidati dagli Spinola, con un appello all'autorità imperiale fecero fallire il progetto di Genova.
Il 15 giugno 1797 Napoleone Buonaparte e gli inviati della Repubblica di Genova diedero vita al convegno di Mombello, nel quale venne decisa l'annessione dei Feudi Imperiali a Genova. L'8 luglio l'agente francese Vendryes, eseguendo un'ordinanza di Napoleone, proclamò in Arquata la fine dei Feudi Imperiali Liguri, ratificata in seguito con il trattato di Campoformio. L'imperatore d'Austria rinunciava definitivamente a tutti i diritti che vantava sui Feudi, accettando la loro unione alla Repubblica Ligure Democratica. Non tutta la popolazione fu favorevole a questa soluzione, ed alle fazioni filofrancesi si opponevano quelle conservatrici, legate ai vecchi feudatari e all'Impero.
Tra le vicende di quegli anni va ricordato che "nel 1799, le sponde della Trebbia furono teatro di una famosa battaglia fra i Francesi capitanati da Macdonald e i Russi e gli Austriaci alleati, guidati i primi da Suvarof, e i secondi da Melas. Combatterono il 18, 19 e 20 giugno e prevalse la fortuna degli imperiali. Più di seimila furono i morti e i feriti dalla parte dei Francesi, i quali, con una disastrosa ritirata attraverso l'Appennino, si ricongiunsero a Genova col corpo del generale Moreau. Posti avanzati di Austriaci e Francesi svernarono in quell'anno su tutti i gioghi dell'alta val Trebbia, alle Capanne di Cosola, di Carrega, di Pey, ai monti Oramara, Friciallo, Lavagnola ecc." [Guida per le escursioni nell'Appennino ligure-piacentino / A Brian — Genova 1910]. Poco sopra Artana, in val Boreca, esiste un pianoro denominato Campo dei Francesi.
Napoleone, nel 1805, divenuto imperatore, decretò l'annessione della Repubblica Ligure Democratica alla Francia. Così le valli tra il Trebbia e lo Scrivia entrarono a far parte dell'Impero francese. Seguì un periodo difficile per gli abitanti della regione, che furono costretti a cibarsi anche di erbe per sopravvivere. Numerosi giovani furono arruolati per le campagne napoleoniche. I gendarmi francesi, inviati sui monti per inseguire i disertori, ritornavano spesso senza preda.
Dopo le sconfitte di Napoleone, il congresso di Vienna decretò l'annessione della Repubblica Ligure Democratica, con il nome di Ducato di Genova, al Regno di Sardegna.
Fabrizio Capecchi
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