Dove comincia l'Appennino
La via del sale
Con la denominazione di via del sale si è soliti riferirsi agli antichi percorsi di commercio che mettevano in comunicazione la pianura Padana con il mar Ligure: il sale infatti, utilizzato per la conservazione dei cibi, era la più preziosa delle merci trasportate dai muli o dai carri, insieme all'olio ligure, a lana, pelli, cuoio, lino e canapa provenienti da oltremare, in cambio del vino e di altri prodotti dei versanti padani.
Esistono in realtà moltissime vie del sale: l'espressione è usata almeno dalla Toscana fino all'estremo Ponente ligure. Alle vie del sale di quest'ultima zona Nico Orengo ha dedicato un libro intitolato "Il salto dell'acciuga"; le acciughe erano infatti un'altra delle merci che transitavano dal mare verso la pianura, il che spiega perché una specialità gastronomica piemontese, la bagna cauda, sia a base di acciughe. Giustamente quindi è intitolato "Le vie del sale", al plurale, un altro libro di Fabrizio Capecchi, che illustra nove itinerari fra pianura e mare, che varcano l'Appennino ligure in altrettanti passi.
Dove passava la via del sale nella fascia di territorio delle Quattro Province? Un riferimento ovvio per l'enorme volume delle merci che vi transitavano, in arrivo o in partenza con le navi, era il porto di Genova. La direttrice sud-nord corrispondente a Genova passa per la valle del Polcévera o per quella del Bisagno, e di lì sul versante padano viene a trovarsi proprio nei nostri bacini dello Scrivia, del Curone e del Trebbia. Il percorso effettivo dipendeva però dallo stato delle strade, dalla natura delle merci e dei mezzi di trasporto, e dalla maggiore o minore convenienza dei dazi doganali fra i diversi stati in cui era suddiviso il territorio: nei secoli i loro confini sono variati, dai Feudi imperiali all'epoca ottocentesca del Regno di Sardegna (che si spingeva ad est fino a Bobbio) e del Ducato di Parma e Piacenza.
"Salivamo e scendevamo di volta in volta delle coste montuose assai erte e ripide. Attraversavamo le asperità della catena appenninica che si presentava alcune volte brulla, altre fittamente boscosa; seguivamo sentieri angusti bagnati da acque scroscianti, seminati di sassi e pietre. [...] Dovevamo attraversare frequentemente un torrente [il basso corso del Curone] che, per le sue sinuosità, sembrava moltiplicarsi sotto i nostri passi. La guida, allora, staccava i suoi trampoli, se li aggiustava ai piedi e sotto le braccia e quindi, con grandi falcate, oltrepassava il torrente. Talvolta con le estremità dei trampoli pungolava l'asino che voleva fermarsi a bere o si voleva sdraiare in mezzo all'acqua con il carico del baule e del porta abiti." [Étienne de Jouy, L'Hermite en Italie, 1824, ed. it. Gian Luigi Olmi, Bobbio 1994]
La via dei Malaspina
La catena di principale di monti che forma l'ossatura delle Quattro Province offre una "highway" da sud a nord, che dai monti Lavagnola e Àntola attraverso le Capanne di Carrega, il Carmo, il Cavalmurone, le Capanne di Còsola, il Chiappo e il Boglelio, arriva nella zona di Varzi. Proprio i collegamenti viari ed economici possono spiegare le caratteristiche culturali delle Quattro Province, come evidenziano gli studi storici di Mauro Casale. Insieme alle merci e ai muli passavano infatti le persone, con le loro conoscenze, le notizie, i dialetti, gli usi. Gli archivi parrocchiali della media val Trebbia rivelano spesso, insieme ai cognomi di origine locale, quelli di sposi, testimoni o padrini di battesimo provenienti da località della val Bisagno o dell'alta val d'Aveto, lontane ma fittamente collegate. Anche le danze tradizionali con muse e pifferi erano un tempo diffuse verso la Riviera, ed è probabile che siano state trasmesse proprio lungo la via del sale, per rimanere più tardi attestate soltanto nelle valli alte, mentre l'entroterra genovese veniva trasformato più rapidamente dall'avvento delle usanze moderne. Gli scambi tra le due aree si mantennero comunque fino al Novecento, quando i grandi suonatori di Bruggi, Cegni e Negruzzo si recavano regolarmente in Fontanabuona (Neirone, Uscio, Testana...) a suonare e ad acquistare i pifferi che avevano commissionato al Grixu di Cicagna — nel caso di Jacmon combinando l'attività artistica con quella di commerciante di bestiame. Il loro arrivo era atteso da tutti come un avvenimento, come ci racconta una signora ultranovantenne di Bertone, che ricorda con emozione lo scintillio della fisarmonica facente capolino insieme al piffero dalla sella che separa il paese dalla val Boreca.
Questa via del sale più alta è quella che oggi viene riportata sulle guide escursionistiche ed è spesso percorsa da gruppi guidati o autonomi, per la sua indubbia valenza paesaggistica e ambientale: si cammina per decine di chilometri attorno ai 1500 metri in mezzo a pascoli, faggi (fo) e maggiociondoli (azburni), e nelle giornate limpide si può ammirare un panorama che spazia fino alle Alpi Apuane, al mare, al Monviso e alla chiostra delle Alpi. Il segnavia mantenuto su tutto il percorso dalla Federazione italiana escursionismo è un quadrato blu pieno, corrispondente all'itinerario da Tortona a Portofino detto "Via del mare", e coincidente la via del sale malaspiniana.
Strade asfaltate raggiungono i valichi alti di Capanne di Cosola e Capanne di Carrega, ma volendo intraprendere un percorso più completo e partire dal basso, come facevano i mulattieri, la località di avvio più significativa del versante padano è Varzi (o, nella parallela val Curone, Fabbrica). Il centro medievale di questa cittadina è molto interessante, con i suoi portici bassissimi e robusti sorretti da travi di legno, le torri di pietra dei Malaspina e delle altre famiglie importanti, gli oratori delle congregazioni e la chiesa romanica dei Cappuccini. Varzi è anche molto nota alla gastronomia grazie al suo straordinario salame, prodotto anche in tutta la zona circostante, la cui tradizione sarebbe da associare proprio alla disponibilità di sale (salame = "carne salata").
Passato il ponte sullo Staffora, il segnavia svolta a sinistra dapprima costeggiando il torrente e poi salendo decisamente in direzione di Castellaro (dove incrocia più volte una strada asfaltata) e quindi del crinale. Arrivare a Capanne di Cosola per la sera richiede però molte ore di cammino di buon passo, e chi preferisca prenderla più comoda può invece mantenersi più a destra, inizialmente sulla strada per Fabbrica, ammirando la conca di Nivione con i suoi suggestivi calanchi, fra i quali si trova la casetta dove si rifugiavano i partigiani capeggiati da "Primula Rossa". Da San Michele di Nivione una sterrata non segnata porta attraverso i boschi a Cella, dove si trova un ristorante-albergo. Oggi ricadente nel comune di Varzi, questa località si chiamava in origine Cella di Bobbio, evidentemente perché sede di monaci dell'abbazia di San Colombano; vi si possono osservare le rovine di un piccolo castello e la stranissima chiesa-museo detta Tempio della Fraternità. Dal Tempio un facile sentiero porta rapidamente a Selvapiana, grazioso paese intonacato di bianco sul versante della val Curone: si può ristorarsi e pernottare alla "Genzianella", uno degli ultimi locali in cui suonò l'anziano Jacmon, oggi dedito al recupero di sapori locali come il formaggio montébore e le erbe officinali coltivate di fronte all'albergo.
Dal monte Chiappo si scende rapidamente all'importante valico delle Capanne di Cosola, vero cuore delle Quattro Province, dove si incontrano le strade che salgono dalla val Borbera e dalla valle Staffora (con il passo del Giovà) e quella strettissima e a strapiombo della val Boreca, che fra ripidi versanti boscosi scende verso il Trebbia; dalle Capanne si arriva in auto (con un po' di attenzione!) anche a due dei paesi più interessanti dell'alta val Boreca, Artana e Bogli. Proprio sul valico si trova l'omonimo albergo, da varie generazioni gestito dalla cosolana famiglia Callegari: le fotografie all'interno mostrano come all'inizio del Novecento qui non vi fossero che un paio di costruzioni, dove potevano alloggiare i muli e i viandanti, il che non toglie che per la festa di Sant'Anna vi si riversassero enormi quantità di gente e di bancarelle. L'albergo è un posto particolare, già antico confine fra Regno di Sardegna e Ducato di Parma e Piacenza, dove ci si trova sospesi in mezzo ai monti in ogni direzione: l'arrivo della cultura emiliana si può sentire tra l'altro mangiandovi una tipica specialità piacentina, i pissarein e fazö́. È sempre qui che, appropriatamente, si svolge alla fine di ottobre il raduno dei suonatori di piffero e fisarmonica delle Quattro Province.
Ma la via del sale procede piegando leggermente verso sud-ovest, tra bei prati fioriti e altre faggete, in direzione dell'Antola. In una piccola radura nel bosco, facendo attenzione a sinistra fra le piante, si possono notare tre vecchie croci di legno, ricordo di tre paesani di ritorno dalla stagione di lavoro in risaia che, dopo un lungo viaggio a piedi per la val Borbera, erano ormai quasi arrivati a casa quando furono lì sorpresi da una bufera e morirono assiderati. Anche un monte non molto distante ha preso il nome di Tre Croci. Infine, usciti dal bosco, si prospettano davanti i prati del monte Antola, classicissima meta di escursioni e di pellegrinaggi, soprattutto per la festa di San Pietro alla fine di giugno. La festa si svolgeva al suono di clarinetto e fisarmonica davanti al rifugio gestito per molti anni dalla famiglia Musante, e oggi purtroppo ridotto in rovina. Il luogo rimane comunque speciale, sia per la ricchezza delle fioriture sui suoi prati, sia per la sua posizione nodale nella porzione sud delle Quattro Province: dall'Antola infatti si dipartono i crinali che separano le valli dei Campassi (affluente del Borbera), del Vobbia (valico di San Fermo e monte Buio), del Brevenna (monte Liprando) e del Pentemina, mentre le sue pendici meridionali, che proseguono con le alture del Cremado e del Prelà, comprendono sia le sorgenti dello Scrivia che quelle del Trebbia. Un nuovo rifugio è stato realizzato dal Parco dell'Antola a poca distanza.
La via della Salata
Se la via del sale alta si presta a belle esperienze escursionistiche, un altro percorso di quota minore è ricco di riferimenti storici e ricordato anche localmente come itinerario di commercio. Questo percorso, percorribile in buona parte anche in auto, segue valli e valichi disposti anch'essi in direzione nord-sud, che permettono di restare più in basso (scelta necessaria nei mesi invernali) limitando comunque i dislivelli da superare fra una valle e l'altra. Il crinale principale est-ovest dell'Appennino ligure viene infatti superato nel suo punto in assoluto più basso (468 m), la Crocetta d'Orero, e anche la parte settentrionale del tragitto non comporta dislivelli eccessivi, passando dalla val Borbera al Genovesato in un luogo chiamato significativamente Salata. A capire l'importanza relativa delle diverse località, assai diversa da quella attuale, ci aiutano le carte geografiche del Sette- e Ottocento, collezionate da Giuseppe Bessone e raccolte in un bel volume [La Liguria nelle carte e nelle vedute antiche, De Agostini, Novara 1992], che indicano località corrispondenti talvolta ai paesi di riferimento attuali, talvolta a frazioni oggi quasi abbandonate, e in qualche caso a località di identificazione misteriosa.Nella zona in cui sboccano gli itinerari montani, gran parte delle carte riporta il paese di Volpedo, nella bassa val Curone, facilmente raggiungibile da Tortona e Voghera e quindi dalle altre città della pianura. Volpedo, che vanta una notevole pieve millenaria, è stato reso celebre dal pittore Giuseppe Pellizza, vissuto a cavallo tra Ottocento e Novecento, la cui opera a sfondo sociale "Il quarto stato" è conosciuta in tutto il mondo; i sabati e le domeniche pomeriggio è possibile visitare lo studio-museo del pittore, con la competente guida di volontari del paese. L'interesse di Pellizza sta anche nel suo profondo legame con il paese e con tutto il territorio, che ha ritratto in opere come "Sassi neri del Penice".
Da Volpedo si può risalire attraverso il dolce paesaggio della media val Curone, passando per Brignano (sede di un castello e citato su molte carte) e oltrepassando l'antico confine fra i feudi tortonesi e quelli della Repubblica di Genova: questo passaggio è tuttora riflesso nel dialetto, fin lì di tipo lombardo, che diventa nettamente ligure a partire da San Sebastiano; gli abitanti della vicina Frascata parlano infatti un curioso e insolito idioma ibrido. San Sebastiano Curone è chiaramente ligure anche nell'architettura: le case del centro storico, disposto sulla confluenza nel Curone del suo affluente Museglia, sono già strette e alte, intonacate di vivaci colori gialli e rossi.
Da qui la strada mostra un'ampia panoramica dei verdi terreni digradanti verso il Borbera, aldilà del quale si trovano invece severe e ripide rocce. Sono i Conglomerati di Savignone, una formazione costituita da sassi cementati in una matrice sedimentaria, che attraversa le valli Scrivia, Vobbia e Borbera caratterizzandole fortemente sia per il paesaggio che per la difficoltà dei collegamenti: questa roccia è infatti meno erodibile dei Calcari dell'Antola, che dominano invece nei tratti superiori delle valli e sul crinale principale. Per questo, curiosamente, le alte valli Borbera e Vobbia offrono panorami più ampi, dolci e antropizzati che i loro tratti inferiori. A sinistra, sulle ampie falde del monte Giarolo, si vede un grosso palazzo fortificato, il castello di Borgo Adorno, legato alla nobile famiglia degli Adorno.
A poca distanza da Cantalupo, in località San Nazzaro, si trova un importante bivio, in corrispondenza del quale è oggi il noto ristorante "da Bruno". Lasciando a sinistra la strada principale della val Borbera, imbocchiamo invece la valle del suo affluente Sìsola, il cui andamento rettilineo da nord a sud costituisce una scorciatoia naturale che ne fece un collegamento strategico. Appena oltre il ponte sul Borbera troviamo infatti un centro importante, Rocchetta Ligure; lungo la via centrale si trova il notevole palazzo dei nobili Malaspina, recentemente ristrutturato e sede del Comune. La via rettilinea sbocca attraverso un arco, che apre la nostra vista alla valletta del Sisola che ci apprestiamo a risalire.
Risalendo il Sisola giungiamo a Mongiardino, comune sparso che sulle carte è citato alternativamente come "Mongiardino" o come "Lago", nome di due delle sue frazioni: la strada passava da queste — Lago Patrono e Lago Cerreto — e dalle case Camincasca, dalle quali infatti una bella mulattiera sale al valico, lasciando sulla sinistra la località Maggiolo dove si trova oggi la chiesa parrocchiale. Da qui la strada si inerpica verso il crinale con la val Vobbia, che raggiunge però assai rapidamente.
Dal nucleo periferico di Vallemara ("Valle Amara") si entra a Crocefieschi ("Croce de Fie[s]chi", "Croce"), importante centro di passaggio e commercio edificato proprio sul valico. Nel suo nome attuale è ricordata la famiglia dei Fieschi, che per alcuni secoli dominò ampie zone delle Quattro Province, arrivando ad insidiare il potere genovese dei Doria con la fallita Congiura dei Fieschi del 1547.
I Fieschi tenevano l'importante castello e il palazzo di Savignone, altro grosso centro nelle vicinanze. Da lì si scendeva al greto dello Scrivia, che si varcava in località Ponte (indicata nel 1836), da cui attraverso San Bartolomeo di Vallecalda si poteva portarsi nel bacino del torrente Secca, nell'attuale comune di Serra Riccò, per dirigersi a Genova dalla parte di ponente.
Un altro percorso scendeva da Crocefieschi passando per una chiesa di "San Giorgio", via Sorrivi e Montemaggio, a Casella, che sorge sullo Scrivia poco più a monte. Nella piazza centrale di Casella si trova infatti un palazzo i cui locali fungevano da deposito del sale e delle altre merci. Come nota Capecchi, la disposizione della piazza e delle vie vicine, perpendicolare all'attuale strada principale, tradisce la vecchia logistica, che era orientata in direzione del valico della Crocetta d'Orero, poco oltre lo Scrivia; il valico è ancora oggi sfruttato dalla ferrovia a scartamento ridotto Casella-Genova, oltre che da una strada carrozzabile.
Ancora, trovandosi nella zona di Fallarosa (citata nel 1836) e Laccio, si poteva passare l'Appennino alla Scoffera, scendendo nell'alta val Bisagno per Meco presso Morànego e Davagna, oppure sul versante orografico opposto per Bargagli e Traso, dove convergevano anche gli itinerari provenienti da Sant'Oberto, punto di snodo con la Fontanabuona e l'alta val Trebbia.
Si arrivava in ogni caso ai mulini di Cavassolo, all'inizio dello storico acquedotto di Genova, quindi a Molassana (dove confluiva anche il percorso dell'Olmo), e infine alla Foce, nella zona della stazione di Genova Brìgnole. Il tratto del Bisagno dove il torrente compie un'ampia curva a sinistra è detto ancora Giro del Fullo, perché vi si trovava uno stabilimento per la follatura della lana. L'ultima parte del Bisagno, oggi in parte coperta, era un tempo popolata di orti e di fruttivendoli: questi ultimi in città sono tuttora chiamati i bezagnini. Era perciò possibile comportarsi come il pescatore raccontato da De André in "Le acciughe fanno il pallone":
"Se sbarcherò alla Foce
e alla Foce non c'è nessuno
la faccia mi laverò
nell'acqua del torrente..."
RADICI DELLE QUATTRO PROVINCE...(OLTREPO ALTA VAL TREBBIA-SCRIVIA LIGURE)
RispondiEliminaPer Quattro province si intendono quattro province a nord di Genova:
Alessandria, in Piemonte in val Borbera e val Curone e valle Scrivia
Genova, in Liguria in val Trebbia, val d'Aveto, valle Scrivia, val Fontanabuona,
Pavia, in Lombardia in valle Staffora,val Versa,valle del Coppa
Piacenza, in Emilia-Romagna in val Trebbia, val d'Aveto, val Boreca, val Luretta, val Nure e val Tidone
Storicamente zona di transito per commercianti, eserciti, pellegrini e viaggiatori, vi passavano antiche percorrenze come la via Postumia (tracciata da Aulo Postumio Albino nel 148 a.C.) che collegava Genova ad Aquileia; la via Francigena, che durante il Medioevo portava i pellegrini dalla Francia a Roma e da qui a Gerusalemme, la via degli Abati che partiva da Bobbio, la via del sale attraverso la quale transitava, verso la pianura Padana, il sale proveniente dalla Liguria.
RispondiEliminaNei tempi andati l'area era molto più ampia: si estendeva fino alla pianura Padana a nord e al mare a sud, lambendo la provincia di Parma ad est. I cambiamenti socio-economici hanno totalmente cambiato i modi di vita tradizionali. L'inurbamento e il conseguente spopolamento delle campagne, la difficoltà di mantenere in vita usanze non più indispensabili alla vita sociale dei piccoli nuclei, l'innegabile fascino del nuovo che va a soppiantare un vecchio che portava con sé ricordi e richiami ad una vita povera e difficile, ne hanno notevolmente ridotto la superficie. La definizione di un esatto confine di questa zona è difficile.
L'estensione attuale è limitata alle aree montane e valligiane di val Borbera e val Curone nella provincia di Alessandria, alta valle Scrivia, alta val Trebbia, val d'Aveto, val Fontanabuona , val Pentemina in provincia di Genova, valle Staffora, val Versa e valle del Coppa in provincia di Pavia, val Trebbia, val Boreca, val Tidone, val Luretta, alta val Nure in provincia di Piacenza.
RispondiEliminaSi deve all'opera del fiume Trebbia e dei torrenti Scrivia, Aveto, Bisagno, Borbera, Boreca, Curone, Lavagna, Staffora, Tidone,Versa, l'aver scavato vallate impervie nelle quali la difficoltà di comunicazione e le strade tortuose - unite alla tenacia dei montanari - hanno contribuito a preservare dal rischio di estinzione una fetta importante del patrimonio culturale italiano.Molte sono le testimonianze della presenza dei Liguri fin dall'Età della pietra (villaggio neolitico a Travo, val Trebbia piacentina) e nell'età del ferro (castelliere, villaggio fortificato di Guardamonte nell'Alessandrino).
Ben documentata anche la presenza dei Romani: molti i toponimi, i ritrovamenti archeologici (resti della città di Libarna attuale Serravalle Scrivia in valle Scrivia ,Clastidium attuale Casteggio in valle del Coppa e Derthona attuale Tortona..) e la documentazione storica (Tabula alimentaria traiana del Municipio di Velleia del II secolo d.C.). Secondo lo storico Polibio, nel dicembre del 218 a.C., Annibale inflisse una pesante sconfitta al console romano Tito Sempronio Longo nella battaglia della Trebbia.Altra battaglia importante antecedente quella del Trebbia è la BATTAGLIA DI CLASRIDUIM 222 a.C. Alcuni toponimi della Val Trebbia e della val Boreca, come Zerba sembra rechino traccia dal passaggio delle truppe di Annibale.
Dal IV secolo, sotto la pressione crescente delle popolazioni barbariche, si verificò una migrazione dalla costa ligure e dalla pianura verso le zone montuose. Si formarono così nuovi insediamenti basati su un'economia di sussistenza agro-pastorale.
Dopo la caduta dei Longobardi a opera di Carlo Magno, il Sacro Romano Impero costituì i Feudi Imperiali, con lo scopo di mantenere un passaggio sicuro verso il mare, assegnò questi territori a famiglie (quali: i Malaspina, i Fieschi, i Doria, i Pallavicino, i Landi e i Farnese) che dominarono per secoli questi feudi.
Napoleone abolì i feudi e il territorio venne diviso tra la Repubblica Cisalpina e la Repubblica Ligure, nel 1815 il Congresso di Vienna cedette gli ex feudi imperiali al Regno di Sardegna e nel 1861, questi territori vennero annessi al Regno d'Italia.Tra gli elementi culturali comuni di queste vallate il più noto è quello musical-coreutico. Il modo di cantare dei cori, influenzato dal trallallero genovese, il repertorio delle musiche da piffero e le danze popolari dette, appunto, delle quattro province sono preziose testimonianze di una cultura antica miracolosamente sopravvissuta fino ai nostri giorni. Accomunano questi territori anche alcune feste popolari e riti calendariali quali le questue per il calendimaggio, il carnevale e i festeggiamenti dei Santi patroni.