sabato 22 dicembre 2012

LA CASATA DEI MALASPINA


Malaspina è il nome della nobile famiglia italiana di origine longobarda, discendente dal ceppo obertengo dei marchesi di Toscana, che resse la Lunigiana e, dal XIV secolo, il marchesato di Massa e Carrara. Era di parte guelfa e prese parte alle lotte dei Lombardi contro gli Hohenstaufen. Ebbe anche un'ampia e compatta signoria nella zona a nord di Genova (AREA DELLE QUATTRO PROVINCE "OLTREPO ALTA VAL TREBBIA-SCRIVIA LIGURE"), nelle valli dei fiumi Trebbia e Staffora. Entrambe le signorie, quella della Lunigiana e quella a nord di Genova (detta lombarda), andarono ben presto sfaldandosi per l'adozione del diritto longobardo che prevedeva la spartizione dei beni (e anche dei feudi) tra tutti i figli maschi.
Alcuni esponenti dei Malaspina ressero una parte del Giudicato di Torres nel XIV secolo (Bosa-
Planargia e Monteacuto) e soprattutto, dal XV al XVIII secolo, il ramo dei Cybo-Malaspina governò il principato indipendente di Massa e Carrara (poi Ducato di Massa e Carrara). Gli appartenenti alla famiglia avevano il titolo di PRINCIPI DI SAN COLOMBANO. Malaspina sono una delle famiglie discese dal ceppo degli Obertenghi, il cui capostipite fu Oberto I (Otbert o Odebertus), che fu attorno alla metà del X secolo conte palatino (conte del Sacro Palazzo di Pavia e massima autorità giudiziaria nel Regno), e dal 951 marchese di Milano e conte di Luni e della marca da lui detta Obertenga, nella Liguria Orientale, comprendente i comitati di Milano,Genova,Tortona,Bobbio, Luni e zone limitrofe.
Questo ampio territorio andò riducendosi e spezzettandosi, sia per le divisioni ereditarie (non avendo l'istituto del maggiorascato), sia per
avvecendamenti con altre famiglie (Fieschi, Spinola, Doria ed altri) e sia per la pressione dei nascenti comuni (Milano, Genova, Piacenza, Tortona, Pavia e Bobbio).
Da Oberto I, attraverso i successivi discendenti Oberto II, Oberto
Opizzo I, Alberto I, Oberto Obizzo II, si giunge ad Alberto o Adalberto (morto nel 1140) detto Malaspina, capostipite della famiglia. Il figlio Obizzo I (il grande) (morto nel 1185) ebbe nel 1164 confermati i suoi feudi dall'imperatore Federico I e fu nominato vassallo imperiale: essi si componevano già dei due blocchi storici: parte della Liguria (Tigullio, Cinque Terre e Levanto sul mare, persi per acquisizioni di Genova e dei Fieschi), con la Lunigiana e la Garfagnana e la zona delle valli del Trebbia (fino a Torriglia), la Val d'Aveto (fino a Santo Stefano d'Aveto) e Staffora (Oltrepò); e in quella che allora si diceva Lombardia (Val Bormida e Oltregiogo).
Dei suoi vari discendenti nel 1220 erano viventi i soli Corrado e
Opizzino, confermati dall'imperatore nei loro feudi invero alquanto ridotti per le cessioni fatte specie a Piacenza. Nel 1221 essi divisero le loro signorie: Corrado ebbe la Lunigiana a ovest del Magra e la val Trebbia in Lombardia, dando origine al ramo dello Spino Secco; Opizzino ebbe la Lunigiana a est del Magra e la valle Staffora in Lombardia, dando origine al ramo dello Spino Fiorito.

giovedì 8 novembre 2012

AI CONFINI DELLE QUATTRO PROVINCE:IL GRUPPO APPENNINICO DELL'ANTOLA

IL GRUPPO APPENNINICO DELL'ANTOLA comprende le vette che si trovano lungo, o prossime, le dorsali che dipartono dalla cima del MONTE ANTOLA.Seguendo la dorsale nord, a cavallo tra le valli Borbera e Trebbia, le cime principali sono: il monte Carmo, il monte Alfeo, il monte Legnà, il monte Cavalmurone e il monte Chiappo.
Dal monte Chiappo la dorsale si divide in tre diverse catene: verso nord-ovest, tra la val Borbera e la val Curone, si trovano il monte Ebro e il monte Giarolo, in direzione nord, tra la val Curone e la valle Staffora, il monte Garave e il monte Bogleglio, infine verso nord-est il monte Lesima (che con i suoi 1724 m risulta essere la cima più elevata del gruppo) e il monte Penice.
Lungo la dorsale sud, tra la val Trebbia e la val Brevenna, si incontrano le cime del monte Cremado, del monte Duso e del monte Prelà, lungo i cui fianchi meridionali hanno sorgente sia il fiume Trebbia sia il fiume Scrivia.
La dorsale est, tra le valli Brevenna e Borbera, conduce alla cima del monte Buio.
Ampie zone del gruppo del monte Antola appaiono isolate e selvagge, i folti boschi di faggio e castagno che ricoprono i versanti sono popolati dalla fauna tipica dell'appennino tra la quale è ormai nuovamente presente anche il lupo, quale segnale di ritrovati equilibri naturali. il Parco naturale regionale dell'Antola in provincia di Genova è stato istituito nel 1995.
Oggi suddivisa amministrativamente in quattro province (Genova, Alessandria, Pavia, Piacenza) e quindi in quattro regioni (Liguria, Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna) la zona del gruppo del monte Antola era fino alla prima metà del XX secolo punto di passaggio e di scambi commerciali tra le comunità insidiate nelle le valli e che oggi conservano ricordi e tradizioni comuni, in particolar modo musica e danze legate all'uso del piffero.

lunedì 29 ottobre 2012

LIGURI E ROMANI NELLA VALLE STAFFORA

Le più antiche testimonianze archeologiche sulla valle Staffora risalgono al periodo del Neolitico (3500 a.C. circa): si tratta di sporadici rinvenimenti avvenuti a Guardamonte, Salice Terme e Castellaro di Varzi. Quest'ultimo, avvenuto nel 1961, consiste nel ritrovamento di un'ascia litica in serpentino verde con le due facce convesse molto usurate. Il ritrovamento appare interessante per il luogo: nell'alta valle Staffora, dove è dunque testimoniata la presenza umana anche in epoche remote.
In epoca più recente, la valle Staffora è stata teatro dell'insediamento dei Liguri. Si tratta di una popolazione su cui le fonti storiche sono molto scarse e stereotipate e ricordano in genere la loro condizione primitiva. I Liguri sono una popolazione diffusa nell'Italia centrosettentrionale, in un'area corrispondente alla Toscana settentrionale, alla Liguria, al Piemonte e Val d'Aosta e alla Lombardia odierne, oltreché a frange montane dell'Emilia e del Trentino. Verso il VI secolo a.C. i Liguri occupano tutta la zona compresa tra la foce del Rodano e l'Italia centrosettentrionale, arrivando addirittura alla Corsica e alla Francia.

I Liguri abitavano in borghi formati da capanne sparse e, non di rado, nelle caverne naturali, comuni sugli Appennini. Si occupavano di agricoltura di sussistenza, che non alleviava gli stenti e la povertà di cibo, dovuti alla conformazione montuosa del territorio appenninico. Altra fonte di cibo erano la caccia e la pesca, ove possibile. Per queste popolazioni il monte Penice aveva la prerogativa di montagna sacra: qui è stata rinvenuta nel 1924 una statuetta votiva, databile all'inizio dell'Impero, che testimonia la persistenza del monte come luogo di culto fin dai tempi antichi. La figura più venerata delle divinità liguri è Cicno (cigno), mitico re di questo popolo.

Dopo l'arrivo dei Celti nel VI-V secolo a.C., si forma una nuova stirpe, quella Celto-ligure, che si insedia nella valle Staffora mediante piccole tribù, che abbandonano le alte vette per insediarsi a mezza costa, in posizione più favorevole per procacciarsi il cibo. È il periodo della fondazione di villaggi come Varzi e, in seguito, Iria (Voghera). I Celti, al contrario dei Liguri, sono popolazioni linguisticamente appartenenti al ceppo indoeuropeo. La loro massima diffusione si colloca nel III secolo a.C., quando arrivano fino all'Asia Minore, partendo dalle zone di origine, cioè il corso superiore del Danubio e la Francia orientale. Sono popolazioni in cui prevale il sentimento tribale e l'appartenenza a piccoli gruppi, stanziati in un proprio territorio con insediamenti sparsi e governati in origine da un re.

il monte Lesima (in basso, riconoscibile per l'osservatorio radar bianco), su cui si dice che Annibale salì per studiare i luoghi prima della battaglia del Trebbia, e le retrostanti valli piacentine viste dall'aereo / DS di ritorno dal viaggio di nozze La valle Staffora è ancora al centro della storia degli Appennini con la conquista romana del III secolo a.C., ma soprattutto dopo lo scoppio della II guerra punica nel 218 a.C. e l'arrivo del grande condottiero Annibale. Questi, dopo aver sconfitto i Romani nella battaglia del Trebbia (dicembre 218 a.C.), si attesta sui monti della valle Staffora. La sua permanenza ha lasciato numerose tracce: il toponimo Strada di Annibale dato alla mulattiera che da Brallo porta a Cima Colletta e al passo del Giovà; il rinvenimento nella stessa zona di una lancia, un coltello e alcune frecce.

Solo dopo la sconfitta di Annibale a Zama nel 202 a.C. i Romani riprendono la lotta contro i Liguri, sottomettendoli definitivamente nel 197 a.C. Inizia il periodo di dominazione romana, caratterizzata da insediamenti di presidi e colonie militari in pianura e lungo la via Postumia. La via Postumia è una strada consolare fatta costruire dal console romano Aulo Postumio Albino nel 148 a.C.; collegava Genova con Aquileia, passando per Libarna (presso Serravalle Scrivia), Derthona (Tortona), Clastidium (Casteggio), Placentia (Piacenza), Cremona, Verona Vicetia (Vicenza), Opitergium (Oderzo). Si tratta per lo più di una strada "di arroccamento", cioè una direttrice per gli spostamenti veloci delle truppe per la difesa del territorio e il suo controllo.

la fornace romana di Massinigo I Romani iniziano, poi, la penetrazione dell'alta valle Staffora, probabilmente sia a caccia dei disertori dell'esercito, che si erano rifugiati in zone inaccessibili, sia per i cristiani che, perseguitati nelle città, erano fuggiti sui monti. Proprio al periodo romano risale un importante ritrovamento: la fornace di Massinigo. Questa fu rinvenuta nel 1957 in occasione dei lavori di costruzione della scuola elementare. La fornace è una delle strutture di questo tipo meglio conservate in Lombardia e l'unico impianto produttivo del genere in Oltrepò. Il forno ha pianta circolare con fondazione in pietra locale e alzato in laterizi. Dell'impianto rimane un piano di cottura in argilla forato e sostenuto da un corridoio a volte che collegavano i muretti di sostegno della camera di combustione. Il legname combustibile veniva immesso tramite un praefurnium, conservatosi solo in parte. La fornace aveva tiraggio verticale: il calore usciva attraverso i fori del piano di cottura, riscaldava la camera dove si trovavano gli oggetti da cuocere e usciva da un camino. Questo manufatto serviva per la cottura di mattoni e tegole: lo spessore del piano di cottura è, infatti, notevole ed è stata rinvenuta una grande quantità di materiale edilizio all'interno della struttura stessa. Le analisi di tipo archeomagnetico hanno permesso di collocare l'ultimo momento di utilizzo del forno entro la prima metà del I secolo d.C.

Silvia Marchese
pubblicato anche in:
Alla scoperta di Santa Margherita Staffora /
"Museo civico di Scienze naturali di Voghera" : cura -- Voghera : 2005


Bibliografia consigliata


  • A Massinigo cuocevano i laterizi = Oltre. Luglio 1992
  • Santa Margherita Staffora (PV). Loc' Massinigo: restauro della fornace romana / D Caporusso, U Valdata = Notiziario della Soprintendenza archeologica della Lombardia. 1983.
  • Il civico Museo archeologico di Casteggio e dell'Oltrepò pavese -- 2000
  • Storia di Varzi. 1 / F De Battisti -- 1996
  • Fornace romana di Massinigo nella Valle della Staffora / D Pace = Sibrium. 6. -- 1961
  • Esame tecnologico dei materiale presumibilmente trattati nei forni ceramici di Massinigo (Pavia) e di Serle (Brescia) / C Storti = Sibrium. 6. -- 1961
  • Tesori della Postumia -- Electa : 1998
  • Santa Margherita Staffora (PV). Loc' Massinigo: sistemazione didattica della
    fornace romana / A Villa = Notiziario della Soprintendenza Archeologica della Lombardia. 1984

domenica 19 agosto 2012

PIFFERO DELLE QUATTRO PROVINCE

:::PIFFERO DELLE QUATTRO PROVINCE:::... Il piffero è lo strumento principe per le musiche delle 4 province(OLTREPO ALTA VAL TREBBIA-SCRIVIA LIGURE)culturalmente omogenea formata dalle valli montane delle province di Pavia, Alessandria, Genova e Piacenza. Il MusottoL'intonazione è in sol. Lo strumento è costituito da tre parti: Il musotto, l'ancia di questo strumento, realizzata in canna, è colloc...ata in una "piruette" (bocchino chiamato musotto), particolarità, unica in Italia, che ha in comune con gli oboe orientali e antichi. Questa struttura permette di eseguire il fraseggio tipico detto "masticato" del repertorio 4 province. La canna conica che ha 8 fori (l'ottavo foro posteriore si usa col pollice mano sinistra). Un padiglione svasato chiamato "campana" dove riposa, durante l'esecuzione, una penna di coda di gallo, che serve per pulire l'ancia. Completano lo strumento le vere, anelli di rinforzo e abbellimento in ottone. Anticamente veniva accompagnato dalla cornamusa appenninica detta müsa e ai nostri giorni più frequentemente dalla fisarmonica. La coppia piffero e fisarmonica accompagna ancora oggi tutte le danze di questa zona. Il più rinomato costruttore di pifferi fu Nicolò Bacigalupo, detto ü Grixiu (Cicagna, 1863 - 1937) attivo a Cicagna (val Fontanabuona GE) dal 1900, dopo il suo ritorno dal Perù, fino alla sua morte. Ciò che rimane della bottega del Grixiu (strumenti musicali semilavorati e attrezzi tra cui il tornio a pedale) è conservato nel Museo etnografico Ettore Guatelli di Ozzano Taro (PR). Oggi i pifferi continuano ad essere costruiti da Ettore Losini, detto Bani, di Degara di Bobbio (PC) e da Stefano Mantovani della provincia di Pavia. Il repertorio musicale è corposo, antico, trasmesso attraverso i secoli (ilfifaro è citato in uno scritto del Pessagno su fatti della val Fontanabuona del 1578) comprende oltre le melodie da ballo, brani che scandivano i momenti della vita contadina: questue come il carlin di maggio, la galina grisa o la santa croce; il carnevale con la povera donna; la partenza per leva con leva levon; il matrimonio con la sposina (brano per accompagnare la sposa dalla sua casa alla chiesa) e altri brani "da strada" come la sestrina per accompagnare i cortei nelle varie occasioni. I pifferai più famosi del passato furono Draghino, Ernesto Sala di Cegni, Jacmon, Giuanen e Fiur in val Trebbia[senza fonte]. La coppia piffero-fisarmonica porta il nome, o più spesso il soprannome dei suoi componenti, alcune di quelle attive oggi sono: Bani (Ettore Losini) e Tilion (Attilio Rocca) Stefanino (Faravelli) e Franco (Guglielmetti) Marco (Domenichetti) e Cisdra (Cesare Campanini) Roberto Ferrari e Claudio Rolandi Stefano (Valla) e Daniele (Scurati) Massimo (Perelli) e Gianpaolo (Tambussi) Fabio (Paveto) e Buscaien (Stefano Buscaglia) I gruppi di folk revival che usano il piffero nei loro concerti: Baraban, la Ciapa Rusa, i Tendachent, i Tre Martelli, i Musicanti del piccolo borgo, gli Enerbia, i Müsetta, i Suonatori di menconico, la Quinta Rua, gli Epinfrai, i Calagiùbella (Casalcermelli - AL), L'Ariondassa.

venerdì 4 maggio 2012

LA PROVINCIA DI BOBBIO

LA PROVINCIA DI BOBBIO
Istituita nel 1743 con il Trattato di Worms, comprendeva un vasto territorio nel Regno di Sardegna. Il 23 Ottobre 1859 il territorio, sotto Pavia, diviene circondario fino allo smembramento del 1923.

La storia della provincia inizia con la fine della guerra di successione austriaca, infatti Bobbio, fino allora Contea dei Dal Verme con il suo territorio, entra a far parte del Regno di Sardegna lasciando l’ex Ducato di Milano austriaco, e lo Stato Sabaudo la eleverà a capoluogo di provincia fino alla costituzione del Regno d’Italia.
A seguito del Trattato di Worms del 13 settembre 1743, confermato con la Pace di Aquisgrana del 18 ottobre 1748, avveniva l'alleanza antifrancese dei Savoia con Maria Teresa d’Austria e l'Inghilterra nella guerra di successione austriaca. Per concessione dell’Austria le autorità sabaude dopo la guerra, unirono
l'Oltrepò, con il Vogherese, il Bobbiese e feudi adiacenti (Siccomario, Langhe Malaspiniane e Feudi
Vermeschi) in una nuova provincia con capoluogo Voghera, nonostante l'istituzione della provincia di
Bobbio nel 1743, ma che fu effettiva formalmente solo in seguito.
La provincia venne creata sommando i territori dei Feudi dei Dal Verme, dell’antica Contea di
Bobbio con Corte Brugnatella, con le Langhe Vermesche e le Signorie dei marchesati dei Malaspina,
fra i quali i feudi di Varzi, Godiasco e Oramala, con i feudi di Fortunago, Cecima e Bagnaria ed altri,
che furono separati da Voghera e costituirono la nuova provincia di Bobbio.
Essa fu poi smembrata dalla Francia napoleonica fra il 1797 ed il 1803, ed inserita nel Dipartimento di
Marengo (Alessandria), mentre nel 1805 è inserita nella Repubblica Ligure sotto il Dipartimento di
Genova.
Tra il 1797 ed il 1814 Bobbio diviene Circondario (arrondissement francese) data l'abolizione delle
province e verranno inseriti buona parte dei Feudi imperiali liguri aboliti effettivamente nel 1798,
come il contado di Ottone (con i comuni di Cerignale, Fascia, Fontanigorda, Gorreto, Pregòla, Rondanina, Rovegno e Zerba), che era nel Dipartimento dei Monti Liguri Occidentali che comprendeva
tutta l'alta Val Trebbia da Ponte Organasco e Carrega Ligure in Val Borbera e la Val Boreca. Nel 1815,
dopo la caduta di Napoleone, rinasce nuovamente la provincia di Bobbio con il medesimo territorio.
Con la riforma amministrativa del 1818 vi è una modifica territoriale, con la perdita dei comuni di
Borgoratto, Cecima, Godiasco, Montesegale, Pizzocorno e Staghiglione che passano nella provincia di
Voghera; ma fu inclusa sempre nella Divisione di Genova del Ducato Ligure sotto il regno di Sardegna.
Dal 1848 la provincia di Bobbio venne staccata dalla Divisione di Genova e aggregata provvisoriamente
alla Divisione di Alessandria, ma dipese sempre da Genova.
Nel 1859 con il Regio Decreto n. 3702 del 23 ottobre 1859 – Decreto Rattazzi venne inclusa nella provincia di Pavia e ridiventa circondario (effettivo dal 1861), poi nel 1923 i comuni del
circondario vengono divisi tra le province di Pavia, Piacenza e Genova. Nel 1925 i comuni piacentini di
Romagnese, Ruino, Valverde e Zavattarello ritornarono in provincia di Pavia.
La Provincia di Bobbio (ab. 36.906 nel 1814) era divisa in quattro Mandamenti: Bobbio (ab. 7.723),
Ottone (ab. 10.691), Varzi (ab. 7.581) e Zavattarello (ab. 10.914).
Il comune più popoloso era il capoluogo Bobbio (ab. 3.475 nel 1814, ab. 3.743 nel 1839).
I comuni in totale dopo il 1814 erano 27, ma furono 44 i comuni (con la popolazione del (1814)
e quelli del [1839]) che fecero parte della provincia di Bobbio in anni diversi, alcuni vennero soppressi
altri ripristinati, altri passarono ad altre province ed altri furono di nuova costituzione: Bagnaria (o Bagnara) (ab. 778) [ab. 713], Bobbio (ab. 3.475) [ab. 3.743], Borgoratto Mormorolo (ab.
820), Caminata (ab. 930) [ab. 652], Cecima (ab. 824), Cella di Bobbio (con Castellaro di Varzi e Casale,
Cegni, Cignolo e Negruzzo di Santa Margherita) (ab. 1.444) [ab. 1.610], Cerignale (ab. 1.050) [ab. 1.005], Corte Brugnatella (ab. 697) [ab. 745], Fascia [ab. 627], Fontanigorda [ab. 1.338], Fortunago (ab. 872) [ab. 802], Godiasco (con San Giovanni Piumesana) (ab. 2.210), Gorreto (ab. 773) [ab. 875], Gravanago (manca), Groppo (manca) [nel 1818 assieme a Godiasco, nel 1929 venne aggregato al comune di Pozzolo, costituendo l’attuale Pozzol Groppo(AL)], Menconìco (con San Pietro Casasco più Caro Bosmenso di Varzi) (ab. 1.021) [ab. 1.132], Moncasacco (manca), Monteforte (manca), Montepicco (manca), Montesegale (ab. 800), Nivione (con Capo di Selva di Varzi) (manca), Oramala (con Quarti) (manca), Ottone (ab. 2.759) [ab. 4.270], Pietra Gavina (con Casa Cabano, Casa Fiori, Cascina Torretta, Santa Cristina di Varzi) (ab. 528) [ab. 467], Pizzocorno (ab. 896), Pregòla (ab. 1.759) [ab. 1.817], Rocca Susella (manca), Romagnese (ab. 1.947) [ab. 1.822], Rondanina [ab. 627], Rovegno (ab. 2.160) [ab. 2.386], Ruino (ab. 999) [ab. 955], Sagliano di Bobbio (o Sagliano di Crenna)
[ab. 244], Sant'Albano di Bobbio [ab. 476], Santa Margherita di Bobbio (ab. 583) [ab. 599], San Ponzo
(manca), Staghiglione (con Stefanago di Borgo Priolo) (ab. 1.251), Torre d'Albera (manca), Trebbiano
(manca), Trebecco [ab. 376], Val di Nizza (ab. 1.177) [ab. 1.129], Valverde (ab. 1.381) [ab. 900], Varzi (ab. 1.934) [ab. 2.045], Zavattarello (ab. 1.648) [ab. 1.729], Zerba (ab. 2.190) [ab. 1.275].

Gian Luca Libretti

martedì 1 maggio 2012

OLTREPO ALTA VAL TREBBIA-SCRIVIA LIGURE


Dove comincia l'Appennino

Note culturali e naturalistiche sul territorio delle Quattro Province

chi fa questo sito diritti d'autore
1/5/2012, ore 18.39
contatti: redazione@appennino4p.it




L'Appennino, la catena montuosa che percorre come un'ossatura tutta l'Italia peninsulare, ha inizio all'altezza del passo del Turchino, fra Genova Voltri e Alessandria. Qualcuno ipotizza che il nome Appennino discenda da Pen, dio ligure dei boschi e delle montagne, dal quale sarebbero derivati anche i nomi di monti come Penna e Pénice.
carta a grande scala Queste pagine sono dedicate al primo tratto settentrionale dell'Appennino, un gruppo di montagne e valli divise, dal punto di vista amministrativo, in ben quattro province di quattro regioni diverse: Genova (Liguria), Alessandria (Piemonte), Pavia (Lombardia) e Piacenza (Emilia-Romagna). Culturalmente, però, si tratta di un'area omogenea, dove per secoli la gente ha vissuto in modi simili (coltivando cereali, patate e castagne, allevando capre e mucche, costruendo villaggi di impianto caratteristico, ecc.) e si è conosciuta e sposata più facilmente a cavallo tra le alte valli che fra queste e le corrispondenti zone di pianura. Questa unità è testimoniata soprattutto nella musica tradizionale popolare, che perciò è stata definita delle Quattro Province: espressione che ci sembra la più adatta a denotare l'area di cui parliamo.




Una terra di ponti

Bobbio. Ponte medievale gobbo sul Trebbia Si sa che l'immaginario popolare associa usualmente l'edificazione di un ponte all'intervento disturbante del diavolo, ed è facile capirne la ragione: i ponti uniscono, il diavolo è "colui che divide". [...] Nella cultura popolare più folletto disturbante che incarnazione del male assoluto, il diavolo insinua, con il suo operare negativo, l'immagine della contraddizione insita in ogni azione volta ad unire, a valicare, a guadare. In fondo, la sua disperata opposizione alla creazione di contatti, nessi, comunicazioni, reca in sé un germe di valore: la difesa di identità e specificità, però scaduta nel malinteso di una chiusura all'altro, di un rifiuto assoluto e sterile.
Se il ponte gobbo di Bobbio, che unisce le rive opposte della Trebbia, mi ha suggerito queste considerazioni, è perché in queste valli, che siamo oramai usi definire "delle Quattro Province", si palesa in pienezza la complessità dei molteplici e contraddittori temi di unione e conflitto, chiusura e scambio, apertura e isolamento. Valli percorse da tracciati millenari, vie marenche e vie del sale, per frantumi di ghiaie e correnti di acque, oppure tra le balze delle creste, d'azzurro e verde, specchiati a nord in nebbie di pianura o a sud nel bagliore diafano di un lembo di mare. Valli un tempo di antiche solidarietà, consuetudini comunitarie, ampiezza di pascoli, ricchezza d'acque. Ma anche di chiostre remote e greppi ardui, di esistenze consumate su orizzonti sempre uguali, di rivalità antiche e sanguigne. Valli oggi fatte sovente impenetrabili di selva, borghi in rovina avvinti da un trionfo di vegetazione, chiusi in cupezza d'abbandono.
Paolo Ferrari Magà
(Dalla val Trebbia alle "molte province" = World music magazine. 62 : 2003.10. p 5-7)



Dove comincia l'Appennino : note culturali e naturalistiche sul territorio delle Quattro Province / redazione ; © autori -- <http://www.appennino4p.it> : 2005.02 - 2012.03 -
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venerdì 30 marzo 2012

RADICI DELLE QUATTRO PROVINCE

Per Quattro province si intendono quattro province a nord di Genova:
Alessandria, in Piemonte in val Borbera e val Curone
Genova, in Liguria in val Trebbia, val d'Aveto, valle Scrivia, val Fontanabuona
Pavia, in Lombardia in valle Staffora
Piacenza, in Emilia-Romagna in val Trebbia, val d'Aveto, val Boreca, val Luretta, val Nure e val Tidone
Storicamente zona di transito per commercianti, eserciti, pellegrini e viaggiatori, vi passavano antiche percorrenze come la via Postumia (tracciata da Aulo Postumio Albino nel 148 a.C.) che collegava Genova ad Aquileia; la via Francigena, che durante il Medioevo portava i pellegrini dalla Francia a Roma e da qui a Gerusalemme, la via degli Abati che partiva da Bobbio, la via del sale attraverso la quale transitava, verso la pianura Padana, il sale proveniente dalla Liguria.
Nei tempi andati l'area era molto più ampia: si estendeva fino alla pianura Padana a nord e al mare a sud, lambendo la provincia di Parma ad est. I cambiamenti socio-economici hanno totalmente cambiato i modi di vita tradizionali. L'inurbamento e il conseguente spopolamento delle campagne, la difficoltà di mantenere in vita usanze non più indispensabili alla vita sociale dei piccoli nuclei, l'innegabile fascino del nuovo che va a soppiantare un vecchio che portava con sé ricordi e richiami ad una vita povera e difficile, ne hanno notevolmente ridotto la superficie.La definizione di un esatto confine di questa zona è difficile. L'estensione attuale è limitata alle aree montane e valligiane di val Borbera e val Curone nella provincia di Alessandria, alta valle Scrivia, alta val Trebbia, val d'Aveto, val Fontanabuona, val Pentemina in provincia di Genova, valle Staffora in provincia di Pavia, val Trebbia, val Boreca, val Tidone, val Luretta, alta val Nure in provincia di Piacenza.
Si deve all'opera del fiume Trebbia e dei torrenti Scrivia, Aveto, Bisagno, Borbera, Boreca, Curone, Lavagna, Staffora, Tidone, l'aver scavato vallate impervie nelle quali la difficoltà di comunicazione e le strade tortuose - unite alla tenacia dei montanari - hanno contribuito a preservare dal rischio di estinzione una fetta importante del patrimonio culturale italiano.Molte sono le testimonianze della presenza dei Liguri fin dall'Età della pietra (villaggio neolitico a Travo, val Trebbia piacentina) e nell'età del ferro (castelliere, villaggio fortificato di Guardamonte nell'Alessandrino).
Ben documentata anche la presenza dei Romani: molti i toponimi, i ritrovamenti archeologici (resti della città di Libarna in val Scrivia) e la documentazione storica (Tabula alimentaria traiana del Municipio di Velleia del II secolo d.C.). Secondo lo storico Polibio, nel dicembre del 218 a.C., Annibale inflisse una pesante sconfitta al console romano Tito Sempronio Longo nella battaglia della Trebbia. Alcuni toponimi della Val Trebbia e della val Boreca, come Zerba sembra rechino traccia dal passaggio delle truppe di Annibale.
Dal IV secolo, sotto la pressione crescente delle popolazioni barbariche, si verificò una migrazione dalla costa ligure e dalla pianura verso le zone montuose. Si formarono così nuovi insediamenti basati su un'economia di sussistenza agro-pastorale.
Dopo la caduta dei Longobardi a opera di Carlo Magno, il Sacro Romano Impero costituì i Feudi Imperiali, con lo scopo di mantenere un passaggio sicuro verso il mare, assegnò questi territori a famiglie (quali: i Malaspina, i Fieschi, i Doria, i Pallavicino, i Landi e i Farnese) che dominarono per secoli questi feudi.
Napoleone abolì i feudi e il territorio venne diviso tra la Repubblica Cisalpina e la Repubblica Ligure, nel 1815 il Congresso di Vienna cedette gli ex feudi imperiali al Regno di Sardegna e nel 1861, questi territori vennero annessi al Regno d'Italia.Tra gli elementi culturali comuni di queste vallate il più noto è quello musical-coreutico. Il modo di cantare dei cori, influenzato dal trallallero genovese, il repertorio delle musiche da piffero e le danze popolari dette, appunto, delle quattro province sono preziose testimonianze di una cultura antica miracolosamente sopravvissuta fino ai nostri giorni. Accomunano questi territori anche alcune feste popolari e riti calendariali quali le questue per il calendimaggio, il carnevale e i festeggiamenti dei Santi patroni.

martedì 6 marzo 2012

IL GRANDE ANELLO DELLE QUATTRO PROVINCE

1: Salogni-Selvapiana (val Curone)
2: Selvapiana-Cegni (valle Stàffora)
3: Cegni-Pej (valle Stàffora)
     3A: Negruzzo-Ponte Organasco
4: Pej-Belnome (val Boreca)
5: Belnome-Gorreto (valli Boreca e Trebbia)
6: Gorreto-Rondanina (valli Terenzone e Cassingheno)
8: Rondanina-Péntema (valli Brugneto e Pentemina)
9: Péntema-Alpe di Vobbia (val Brevenna)
10: Alpe di Vobbia-Dova Superiore (val Vobbia)
     10A: Costa Salata-Cantalupo Ligure
11: Dova Superiore-Còsola (val Borbera)
12: Còsola-Pallavicino (val Borbera)
13: Pallavicino-Salogni (valli Museglia e Curone)


"In un avvenire che mi auguro prossimo salirò l'Appennino, ove ultimamente vidi estatico una natura vergine rude e forte quale io sognai per tanti anni!"
(Giuseppe Pellizza da Volpedo, 1904)
Il Grande anello delle Quattro Province o Trek delle Quattro Province è un itinerario escursionistico proposto dai redattori del sito "Dove comincia l'Appennino". Diversamente dai percorsi segnalati più noti e frequentati, come la Via del Sale, questo lungo percorso a tappe non segue i crinali, ma si svolge prevalentemente all'interno delle valli, consentendo all'escursionista di entrare in contatto con le realtà antropiche ed etnografiche dei singoli paesi, cercando di privilegiare quelli storicamente e culturalmente importanti. Nel limite del possibile si cerca di utilizzare le vecchie mulattiere di collegamento fra i paesi, riducendo al minimo i tratti di percorrenza su carrozzabile. Non trascurando gli aspetti naturalistici, l'enfasi è però sugli aspetti culturali che determinano l'unità di quest'area, dalle forme di economia contadina alle tradizioni, i riti e la musica che ne rendono omogeneo il sostrato culturale al di là dei confini politico-amministrativi.
Pietranera (val Trebbia) / CG
Il GA4P descrive un ampio giro attorno all'ossatura montuosa delle Quattro Province, che tocca tutti i suoi versanti. Trattandosi di un anello, il giro può essere iniziato o concluso in qualsiasi punto. Il percorso completo richiede una dozzina di giorni, ma si può percorrerne anche singoli tratti, utilizzando i diversi punti di accesso man mano indicati.
Ciascuna tappa è in linea di massima percorribile entro una giornata di cammino, ma il percorso è in fase di progressiva messa a punto: valutate bene fino a dove riuscirete ad arrivare prima che faccia buio... Informazioni aggiuntive e suggerimenti sono benvenuti, scrivendo a <redazione@appennino4p.it>. Gli aggiornamenti compariranno progressivamente in queste pagine.
 

martedì 28 febbraio 2012

VIA DEGLI ABATI

Il percorso della via Francigena che oggi conosciamo è quello descritto nel suo diario di viaggio dall’Arcivescovo Sigerico, nel ritorno da Roma verso Canterbury tra il 990 e il 994. Giunto a Pontremoli e dovendo attraversare l’Appennino, Sigerico scelse la via del passo della Cisa (Monte Bardone), che consentiva di raggiungere, disegnando un ampio arco, le città della pianura (Fidenza, Piacenza, Pavia).
Esisteva tuttavia anche un altro percorso, più antico, che passava attraverso i monti ed era praticato sin dal VII secolo soprattutto da chi viaggiava a piedi, quale tragitto più breve da Pavia a Lucca e verso Roma, transitando per Bobbio, Bardi, Borgovalditaro e infine Pontremoli.
Il percorso, utilizzato già dai sovrani longobardi prima della conquista della Cisa, controllata dai bizantini, toccava anche l’abbazia di Bobbio, nel cuore dell’Appennino, dove i pellegrini diretti a Roma e provenienti dalla Francia e dalle Isole Britanniche passavano a venerare le spoglie di San Colombano (+615), grande abate irlandese e padre, con San Benedetto, del monachesimo europeo. (Per questo tanto a Pavia che a Lucca esisteva già in età longobarda un hospitale di San Colombano). Il tragitto era parimenti seguito dagli abati di Bobbio per andare a Roma presso il pontefice, da cui l’abbazia direttamente dipendeva.
Ancora oggi questo storico percorso, denominato ora “Via degli abati” (o “Francigena di montagna”), che attraversa i valichi e le verdi vallate dell’Appennino toccando i centri medievali di Bobbio, Bardi, Borgovalditaro e Pontremoli, lontano dal traffico stradale e dall’afa della pianura, rappresenta una suggestiva variante per i viandanti della Francigena, specialmente durante la stagione estiva.
La mappa sottostante della Via Francigena (pubblicata nel sito del Comune di Gambassi Terme, Toscana, anno 2003), oltre a tratteggiare il percorso di Sigerico dalle Alpi a Roma, segnala anche la variante montana che passa per Bobbio e che corrisponde alla Via degli Abati.

mercoledì 8 febbraio 2012

LE PIU ANTICHE TESTIMONIANZE ARCHEOLOGICHE IN OLTREPO ALTA VAL TREBBIA-SCRIVIA LIGURE

 Le più antiche testimonianze archeologiche sulla valle Staffora risalgono al periodo del Neolitico (3500 a.C. circa): si tratta di sporadici rinvenimenti avvenuti a Guardamonte, Salice Terme e Castellaro di Varzi. Quest'ultimo, avvenuto nel... 1961, consiste nel ritrovamento di un'ascia litica in serpentino verde con le due facce convesse molto usurate. Il ritrovamento appare interessante per il l...uogo: nell'alta valle Staffora, dove è dunque testimoniata la presenza umana anche in epoche remote.
In epoca più recente, la valle Staffora è stata teatro dell'insediamento dei Liguri. Si tratta di una popolazione su cui le fonti storiche sono molto scarse e stereotipate e ricordano in genere la loro condizione primitiva. I Liguri sono una popolazione diffusa nell'Italia centrosettentrionale, in un'area corrispondente alla Toscana settentrionale, alla Liguria, al Piemonte e Val d'Aosta e alla Lombardia odierne, oltreché a frange montane dell'Emilia e del Trentino.I Liguri abitavano in borghi formati da capanne sparse e, non di rado, nelle caverne naturali, comuni sugli Appennini. Si occupavano di agricoltura di sussistenza, che non alleviava gli stenti e la povertà di cibo, dovuti alla conformazione montuosa del territorio appenninico. Altra fonte di cibo erano la caccia e la pesca, ove possibile. Per queste popolazioni il monte Penice aveva la prerogativa di montagna sacra: qui è stata rinvenuta nel 1924 una statuetta votiva, databile all'inizio dell'Impero, che testimonia la persistenza del monte come luogo di culto fin dai tempi antichi. La figura più venerata delle divinità liguri è Cicno (cigno), mitico re di questo popolo.
Dopo l'arrivo dei Celti nel VI-V secolo a.C., si forma una nuova stirpe, quella Celto-ligure, che si insedia nella valle Staffora mediante piccole tribù, che abbandonano le alte vette per insediarsi a mezza costa, in posizione più favorevole per procacciarsi il cibo. È il periodo della fondazione di villaggi come Varzi e, in seguito, Iria (Voghera). I Celti, al contrario dei Liguri, sono popolazioni linguisticamente appartenenti al ceppo indoeuropeo.La valle Staffora è ancora al centro della storia degli Appennini con la conquista romana del III secolo a.C., ma soprattutto dopo lo scoppio della II guerra punica nel 218 a.C. e l'arrivo del grande condottiero Annibale. Questi, dopo aver sconfitto i Romani nella battaglia del Trebbia (dicembre 218 a.C.), si attesta sui monti della valle Staffora. La sua permanenza ha lasciato numerose tracce: il toponimo Strada di Annibale dato alla mulattiera che da Brallo porta a Cima Colletta e al passo del Giovà; il rinvenimento nella stessa zona di una lancia, un coltello e alcune frecce.
Solo dopo la sconfitta di Annibale a Zama nel 202 a.C. i Romani riprendono la lotta contro i Liguri, sottomettendoli definitivamente nel 197 a.C. Inizia il periodo di dominazione romana, caratterizzata da insediamenti di presidi e colonie militari in pianura e lungo la via Postumia. La via Postumia è una strada consolare fatta costruire dal console romano Aulo Postumio Albino nel 148 a.C.; collegava Genova con Aquileia, passando per Libarna (presso Serravalle Scrivia), Derthona (Tortona), Clastidium (Casteggio), Placentia (Piacenza), Cremona, Verona Vicetia (Vicenza), Opitergium (Oderzo).Si tratta per lo più di una strada "di arroccamento", cioè una direttrice per gli spostamenti veloci delle truppe per la difesa del territorio e il suo controllo.
I Romani iniziano, poi, la penetrazione dell'alta valle Staffora, probabilmente sia a caccia dei disertori dell'esercito, che si erano rifugiati in zone inaccessibili, sia per i cristiani che, perseguitati nelle città, erano fuggiti sui monti. Proprio al periodo romano risale un importante ritrovamento: la fornace di Massinigo. Questa fu rinvenuta nel 1957 in occasione dei lavori di costruzione della scuola elementare. La fornace è una delle strutture di questo tipo meglio conservate in Lombardia e l'unico impianto produttivo del genere in Oltrepò. Il forno ha pianta circolare con fondazione in pietra locale e alzato in laterizi. Dell'impianto rimane un piano di cottura in argilla forato e sostenuto da un corridoio a volte che collegavano i muretti di sostegno della camera di combustione. Il legname combustibile veniva immesso tramite un praefurnium, conservatosi solo in parte. La fornace aveva tiraggio verticale: il calore usciva attraverso i fori del piano di cottura, riscaldava la camera dove si trovavano gli oggetti da cuocere e usciva da un camino. Questo manufatto serviva per la cottura di mattoni e tegole: lo spessore del piano di cottura è, infatti, notevole ed è stata rinvenuta una grande quantità di materiale edilizio all'interno della struttura stessa. Le analisi di tipo archeomagnetico hanno permesso di collocare l'ultimo momento di utilizzo del forno entro la prima metà del I secolo d.C

domenica 29 gennaio 2012

La marca Obertenga e i Feudi Imperiali

La marca Obertenga e i Feudi Imperiali


La presenza sempre più diffusa dei monaci sulle montagne e la conseguente evangelizzazione delle popolazioni avevano portato una certa tranquillità. Rispetto al periodo romano, mutavano nuovamente le vie seguite dai commerci. Il sistema dei monasteri aveva sostituito le mansioni romane nella loro funzione itineraria.
Uno di questi itinerari dovette seguire il re Liutprando quando, nel 725, partì da Pavia con un corteo di prelati, di nobili e di popolo per presenziare personalmente alla traslazione delle spoglie di Sant'Agostino nella basilica di San Pietro in Ciel d'Oro, dove sono tuttora conservate. Il santo era morto a Bona, in Algeria, nel 430 d.C., e le sue spoglie già nel VI secolo erano state trasferite in Sardegna per sottrarle agli Arabi che avevano invaso tutto il Nord Africa. Quando nell'VIII secolo anche la Sardegna venne invasa, Liutprando riuscì a riscattare le preziose spoglie, che giunsero via mare e furono sbarcate a Genova. [Da questo viaggio del re prenderebbe nome il monte Liprando, posto lungo il crinale che separa le valli Pentemina e Brevenna, che costituiva una comoda via comunicazione.]
In funzione antisaracenica erano state costituite da Berengario II, nel 952, le marche Arduinica, Aleramica ed Obertenga, in un territorio che si estendeva ad arco dalle Alpi Marittime fino al Tirreno. Vi erano sparsi numerosi castelli, sistema portante nell'azione di controllo e di difesa della regione. Le Quattro Province erano incluse nella marca Obertenga, che si estendeva da qui fino alla Toscana.
Ma l'unità della marca, venute meno le cause principali in ragione delle quali era stata costituita, si sgretolò e si indebolì sempre più. Dal ceppo obertengo dei marchesi di Toscana ebbe origine la numerosa e longeva discendenza dei marchesi Malaspina, il cui dominio feudale era stato ufficialmente sancito dal diploma di investitura di Federico Barbarossa a Obizzo Malaspina, nel 1164.
Alle origini del nome Malaspina è una leggenda: un certo Azzino, nel 526, uccise con una spina Teodoberto, re dei Franchi. L'episodio è illustrato con cinque formelle in arenaria che ornano il portale d'ingresso del palazzo Malaspina di Godiasco. Il bassorilievo mostra il re dei Galli mentre assale la città di Milano. Marte ostacola l'ingresso ma il portale viene aperto con il tradimento. Sant'Ambrogio appare in sogno al tiranno, predicendogli l'imminente morte cruenta. Un giorno il re, andato a caccia da solo nel bosco, si addormenta in grembo ad un fanciullo, che lo sgozza con una spina. Le sue ultime parole furono "ahi malaspina!". Ma questo nome, come altri attribuiti a signori di quel tempo quali Ribaldo, Pelavicino, Malnipote e Malapresa, è da riferirsi più verosimilmente al modo non sempre onesto di amministrare i loro feudi, esigendo con ogni mezzo il pagamento di tributi e gabelle.
I Malaspina estendevano i loro possessi sull'ampio arco di vallate che andavano dalla Lunigiana fino al Tortonese. Il carattere tipicamente montuoso del loro territorio, che veniva a trovarsi come isolato in un quadrato ai cui vertici erano le città di Genova, Tortona, Piacenza e la Lunigiana, consentì alla casata di conservare per secoli la propria autonomia. All'inizio la marca si presentava ancora nella sua unità, e Obizzone, diretto discendente di quell'Oberto Obizzo I al quale era toccata la quarta parte dell'intero patrimonio obertengo, fu tra i personaggi di primo piano nella lotta fra i Comuni e l'Impero. Tre anni dopo la sua investitura, per ricambiare i favori imperiali, corse in aiuto del Barbarossa, salvandolo dall'agguato di Pontremoli. L'imperatore, sceso per la quarta volta in Italia, dopo aver conquistato Roma, era stato costretto ad un ritorno in patria a causa di un'epidemia. Il marchese Obizzo lo scortò lungo tutti i suoi feudi montani, passando per Oramala e Sant'Alberto di Butrio, facilitando il suo ritorno in Germania.
La rocca di Oramala fu tra le dimore preferite dei Malaspina, nel periodo di maggior splendore. Costruita sulla sommità di un colle boscoso, di cui sembra il naturale prolungamento, domina dall'alto la piana di Varzi, spingendo lo sguardo verso Sud fino alla zona di Pregola, dove si trovavano altre fortezze dei Malaspina. Dopo un periodo di scontri e guerre, Obizzo il Grande aveva suscitato tra gli appartenenti alla famiglia l'amore per le tradizioni cavalleresche, il culto per la gentilezza e la cortesia. La rocca della valle Staffora era meta di numerosi trovatori. Qui si levarono i primi canti provenzali in Italia.
In seguito la casata andò incontro ad un lento ma continuo sfaldamento. Una delle principali cause era l'abitudine di frazionare i feudi, dividendoli in parti uguali fra i figli maschi. Come conseguenza di queste ripetute suddivisioni del patrimonio, nacquero lotte tra i diversi rami della stessa famiglia, che portarono alla dispersione dei possedimenti. La divisione più rilevante, stipulata da Obizzino e Corrado l'Antico, nipoti di Obizzo il Grande, segnò la distinzione araldica che da allora indicò i rami della famiglia. Da Corrado l'Antico discese il ramo dello Spino Secco. Da Obizzino discese il ramo dello Spino Fiorito. Lo stemma araldico, in campo dorato e sormontato da un'aquila, simbolo dell'Impero, aveva nel primo caso un rovo con sei rami muniti di aculei; nell'altro il rovo era decorato, alle estremità, da sei rami di fiori di spino.
Le castellanie, in seguito, furono sempre più soggette all'aggressione della feudalità minore, cresciuta ai margini, e delle importanti famiglie cittadine che miravano ad annettere domini rurali ai loro possedimenti. Alla periferia del loro territorio cominciavano a crescere e a rafforzarsi le città, che cercavano di espandere la loro influenza nelle valli, lungo le quali transitavano i commerci fra la pianura e la zona costiera.
La città di Pavia, volendosi garantire una propria via di comunicazione con Genova, ottenne nel 1284 la stipulazione di un trattato con i marchesi Malaspina. Veniva regolata la questione dei pedaggi per il transito delle merci in valle Staffora; i marchesi si obbligavano fra l'altro a garantire la sicurezza dei viaggiatori. In val Trebbia i Malaspina erano insediati sia nei territori a monte di Bobbio, sia nella media valle fino a Rivalta, Rimaneva escluso Bobbio con il suo circondario, che apparteneva ai monaci dei monasteri di San Colombano e di San Paolo di Mezzano. Ma gradualmente le curie ed i castelli della val Trebbia entrarono nell'orbita del comune di Piacenza, il quale, lasciando l'esercizio di certi poteri locali agli antichi proprietari, diventò in effetti il principale dominatore. Analoghe vicende accaddero ai confini occidentali dell'antica marca Obertenga, che comprendeva le valli dello Scrivia e dei suoi affluenti. Tortona e Genova tentarono di allargare la propria influenza al di fuori delle mura cittadine. La città di Tortona gravitava sui territori ad Est dello Scrivia ed in val Borbera, dove aveva ereditato beni che erano appartenuti ai monasteri devastati dai Saraceni, come Vendersi e Savignone.
I maggiori feudatari incontravano difficoltà nell'amministrare i castelli più lontani, dei quali a volte erano costretti a cedere rendite e pedaggi ai signori che li governavano quali loro rappresentanti. Questa situazione indeboliva progressivamente i feudi, che rimanevano sempre più esposti all'azione di alcune importanti casate, che nel frattempo si erano rafforzate, e che cominciavano a far sentire la loro presenza nella regione.
I Fieschi di Lavagna, lontanamente imparentati con gli Obertenghi, avevano trovato nella città di Genova un ostacolo alla loro espansione nella fascia costiera. Favoriti dal loro pontefice Innocenzo IV Fieschi, si erano creati un dominio feudale nell'entroterra, nei territori che in precedenza erano appartenuti ai Malaspina. In un primo tempo avevano acquisito feudi in Lunigiana e in val di Vara, spingendosi in seguito verso ovest. Non ostacolati da Genova, acquistarono i feudi di Savignone, Montoggio, Crocefieschi e Casella, occupando interamente l'alta valle Scrivia. Da questa posizione potevano controllare efficacemente la strada che proveniva da Genova e proseguiva in direzione della pianura. Il controllo fu ancora più efficace dopo l'acquisto di Mongiardino e di Cremonte, nella stessa val Borbera. La loro espansione fu completata con l'acquisizione di Torriglia e di Carrega, lungo la via del monte Antola, di Grondona in valle Spinti, e di Garbagna in val Grue, in pieno territorio tortonese.
Un'altra importante famiglia genovese, gli Spìnola, favorita inizialmente dalla sua stessa città, aveva posto le sue basi in valle Scrivia, precisamente a Ronco e Isola. Gli Spinola discendevano dai Carmandino, una delle casate a cui i marchesi Obertenghi, pur non appartenendo alla loro stirpe, avevano assegnato dei possedimenti in loro rappresentanza. L'espansione degli Spinola si rivolse nelle valli a levante dello Scrivia, con l'acquisto dei castelli di Campolungo, di Grifoglieto e successivamente di Mongiardino, che era appartenuto ai Fieschi, controllando in questo modo le comunicazioni fra la valle Scrivia e le valli Vobbia e Borbera. In seguito acquistarono anche Cantalupo e Dernice, importanti centri di transito lungo la via che portava a Tortona e Voghera. Così, alle spalle di Genova, il dominio degli Spinola acquistò sempre maggiore importanza, non tardando ad infastidire la stessa città che in un primo tempo aveva favorito la loro espansione.
Lo sforzo compiuto dai feudatari per acquisire una maggiore indipendenza dalle grandi potenze confinanti, ed il desiderio di unirsi in difesa dei comuni interessi e privilegi, si concretizzò nel 1495. Massimiliano I, riaffermando la supremazia dell'Impero sull'Italia settentrionale, investì dei feudi Ludovico il Moro; essi acquisirono in questo modo una loro consistenza politica, e vennero chiamati Feudi Liguri Imperiali.
Anche i Fieschi, come gli Spinola, avevano ottenuto, nella persona di Gian Luigi il Vecchio, il riconoscimento ufficiale dell'Impero, con l'investitura del 1495. Tuttavia, la loro politica aggressiva nei confronti di Genova, che minacciavano ripetutamente dalle loro postazioni appenniniche, ed il loro propendere su alcune questioni più per la Francia che per Carlo V e l'Impero, li portarono ad una grave crisi e ad una quasi totale perdita dei loro domini. Dopo la morte di Sinibaldo Fieschi, le vicende precipitarono in occasione della fallita congiura di Gian Luigi Fieschi. Questi il 2 gennaio del 1547, con una sortita, tentò di mettersi a capo della Repubblica genovese, avendo come obbiettivo l'uccisione di Andrea Doria. Ma il piano non riuscì. Scattò allora la rappresaglia dei Doria, unita all'intervento dell'imperatore Carlo V, che aveva messo a capo delle sue milizie, nell'occasione, Agostino Spinola. Quest'ultimo, da tempo in lotta con i vicini feudatari, sperava di ricevere come compenso gli eventuali feudi confiscati. I congiurati si erano rifugiati nella fortezza di Montoggio, che cadde dopo un lungo assedio, segnando la loro definitiva sconfitta.
Ai Fieschi rimase solamente il feudo di Savignone, avviato ad un graduale impoverimento. L'imperatore operò la suddivisione dei feudi confiscati. A Genova furono consegnati Montoggio, Roccatagliata e Varese Ligure. Ai Doria, fautori dell'Impero, vennero assegnati i feudi di Garbagna e Grondona, in territorio tortonese, Torriglia e Carrega, nella regione del monte Antola, e molti altri verso levante, fino alla val di Taro.
I Doria, ricevuta l'investitura sui feudi da Carlo V nel 1549, avevano rivolto le loro principali attenzioni alla parte più orientale dei loro domini, senza interferire con la presenza degli Spinola in valle Scrivia e in val Borbera. La base del loro comando era stata insediata nel castello di Santo Stefano, in val d'Aveto. In seguito la loro politica espansionistica si concretizzò con ripetuti acquisti di castelli già appartenuti ai Fieschi, dovendosi guardare dalla concorrenza di alcune importanti famiglie genovesi che nel frattempo si erano rafforzate ed affacciate in val Trebbia, acquistando beni messi in vendita dai discendenti della famiglia Malaspina. Fra questi, i Centurione, mercanti genovesi, erano entrati in possesso dei feudi di Fontanarossa e Campi, ed avevano fatto costruire il palazzo fortezza di Gorreto.
I Doria avevano acquistato il feudo di Ottone, con il castello. Agli anelli di ferro, infissi nelle solide mura, pare venissero appese le membra squartate dei malfattori. Durante la loro dominazione furono emanati gli "Statuti dei Doria di Ottone", derivati dai "Codici di Cariseto" precedentemente diffusi dai Malaspina. Le punizioni previste, per chi veniva meno alla legge, erano molto dure. Ancora oggi in val Trebbia si dice "giustizia di Cariseto" per indicare un giudizio severo.
Più a Nord, nelle terre comprese fra il Trebbia e lo Staffora, gli eventi storici erano ancora legati ai complessi casi della famiglia Malaspina. La proprietà del castello di Pregola, sede della linea più importante della famiglia, era divisa fra i suoi membri. Nel 1570 il marchese Gian Maria tentò di impadronirsene con il tradimento, ma il tentativo fallì. Per rappresaglia, Gian Maria devastò i territori di Zerba e Belnome, uccidendo uomini e donne e razziando il bestiame. Cinque anni dopo tentò nuovamente di impossessarsi del castello. Non riuscendo a portare a termine l'impresa, lo incendiò e lo distrusse. Per i suoi misfatti gli furono confiscati tutti i beni.
Con il trascorrere del tempo, per il mutare delle condizioni storiche, in tutta la regione apparivano superate le originarie funzioni dei castelli, edificati in epoca medioevale sulla sommità dei poggi, in luoghi di più facile difesa. Nei fondovalle si aprivano nuove vie di comunicazione, e nei centri attraversati venivano costruiti i palazzi cui faceva capo la giurisdizione dei feudi. Questi vennero progressivamente elevati da semplici signorie a baronie, contee, marchesati e principati, conferendo loro un crescente prestigio. Le ricche famiglie cittadine sostituirono gradatamente gli antichi feudatari finiti in rovina. Nell'acquisto di beni fondiari trovavano modo di investire i capitali accumulati con il commercio, e potevano inoltre fregiarsi di titoli nobiliari.
Ma nella struttura dei Feudi Liguri Imperiali venne mantenuto, alle spalle di Genova, un territorio indipendente, che procurò sempre alla città preoccupazioni e danni ingenti. Diverse volte Genova tentò di entrarne in possesso, proponendone anche l'acquisto all'imperatore con grosse somme. Ma i feudatari, guidati dagli Spinola, con un appello all'autorità imperiale fecero fallire il progetto di Genova.
La storia dei Feudi Liguri Imperiali ebbe termine con la discesa in Italia di Napoleone Buonaparte. Questi, nella primavera del 1796, fissò il suo quartier generale a Tortona. Le truppe francesi compirono numerose incursioni nelle valli, che causarono, per le razzie compiute, la rivolta della popolazione. Un corriere postale francese venne assalito ed ucciso. In seguito venne tesa un'imboscata ad ottanta francesi lungo lo Scrivia, a Rigoroso. Il marchese di Arquata, Agostino Spinola, accusato di essere fra i responsabili dell'agguato, venne bandito dai feudi. Furono ordinati numerosi arresti. In quei giorni il colonnello Lannes, per ordine di Napoleone, fece incendiare il borgo di Arquata, distruggendo molte abitazioni e l'ospedale.
Il 15 giugno 1797 Napoleone Buonaparte e gli inviati della Repubblica di Genova diedero vita al convegno di Mombello, nel quale venne decisa l'annessione dei Feudi Imperiali a Genova. L'8 luglio l'agente francese Vendryes, eseguendo un'ordinanza di Napoleone, proclamò in Arquata la fine dei Feudi Imperiali Liguri, ratificata in seguito con il trattato di Campoformio. L'imperatore d'Austria rinunciava definitivamente a tutti i diritti che vantava sui Feudi, accettando la loro unione alla Repubblica Ligure Democratica. Non tutta la popolazione fu favorevole a questa soluzione, ed alle fazioni filofrancesi si opponevano quelle conservatrici, legate ai vecchi feudatari e all'Impero.
Tra le vicende di quegli anni va ricordato che "nel 1799, le sponde della Trebbia furono teatro di una famosa battaglia fra i Francesi capitanati da Macdonald e i Russi e gli Austriaci alleati, guidati i primi da Suvarof, e i secondi da Melas. Combatterono il 18, 19 e 20 giugno e prevalse la fortuna degli imperiali. Più di seimila furono i morti e i feriti dalla parte dei Francesi, i quali, con una disastrosa ritirata attraverso l'Appennino, si ricongiunsero a Genova col corpo del generale Moreau. Posti avanzati di Austriaci e Francesi svernarono in quell'anno su tutti i gioghi dell'alta val Trebbia, alle Capanne di Cosola, di Carrega, di Pey, ai monti Oramara, Friciallo, Lavagnola ecc." [Guida per le escursioni nell'Appennino ligure-piacentino / A Brian — Genova 1910]. Poco sopra Artana, in val Boreca, esiste un pianoro denominato Campo dei Francesi.
Napoleone, nel 1805, divenuto imperatore, decretò l'annessione della Repubblica Ligure Democratica alla Francia. Così le valli tra il Trebbia e lo Scrivia entrarono a far parte dell'Impero francese. Seguì un periodo difficile per gli abitanti della regione, che furono costretti a cibarsi anche di erbe per sopravvivere. Numerosi giovani furono arruolati per le campagne napoleoniche. I gendarmi francesi, inviati sui monti per inseguire i disertori, ritornavano spesso senza preda.
Dopo le sconfitte di Napoleone, il congresso di Vienna decretò l'annessione della Repubblica Ligure Democratica, con il nome di Ducato di Genova, al Regno di Sardegna.
Fabrizio Capecchi

giovedì 19 gennaio 2012

DIALETTO BOBBIESE LINGUA UFFICIALE D'OLTREPO ALTA VAL TREBBIA-SCRIVIA LIGURE

DIALETTO BOBBIESE(parte 2°)
Storia ;
Bobbio e la valle del Trebbia abitata già al tempo delle popolazioni terramaricole, fu in seguito dominata dai popoli Liguri, Etruschi e i Celti dei Galli Boi, per passare successivamente ai Romani attorno al 14 a.C. La loro lingua si impose ovviamente su quella delle popolazioni locali subendo delle modifiche caratteristiche.Mentre le persone colte parlavano il latino, il popolo adottò il sermo vulgaris, cioè la parlata volgare, che in seguito, per evoluzione graduale, dette origine ai vari dialetti locali.La citadina ed il bobbiese inserito nel pagus Bagienno, faceva parte della regione romana di Liguria.Dopo i Romani l'Italia e la zona subì l'invasione e la devastazione di altri popoli, come gli Eruli, i Goti, gli Unni, i Burgundi e molte tribù barbariche di origine germanica; un breve periodo di pace lo si ebbe sotto i Bizantini con la formazione della Provincia bizantina di Liguria.Attorno al 572 la zona assieme a buona parte del nord d'Italia fu conquistato dai Longobardi che fecero di Bobbio un centro politico religioso e culturale dopo il 614, quando la zona fu assegnata all'abate missionario ed evangelizzatore irlandese San Colombano e grazie ai monaci della potente Abbazia di San Colombano si formò un feudo monastico cosmopolita con popolazioni celtiche, franche e germaniche inserito nel Ducato ligure.Nel 774 il feudo monastico del monastero di Bobbio è inserito nel regno dei Franchi e nella Contea ligure dopo la conquista del territorio da parte di Carlo Magno con allargamenti territoriali, successivamente sarà inserito in buona parte nella Marca Obertenga dopo la suddivione del territorio ligure in marche e contee.Queste popolazioni, a differenza dei Romani, non imposero i loro costumi e la loro lingua, ma differentemente accquisirono la parlata locale inserendo tipiche terminologie sopravvissute sino ad oggi, specie nella toponomastica dei luoghi.Continuando il breve escursus storico: Nel 1014 Bobbio ebbe il titolo imperiale di città e divento Contea vescovile, ma nel 1164 il Barbarossa tolse numerosi possedimento assegnandoli ai discendenti degli Obertenghi, tra i quali ebbero un ruolo di primo piano i Malaspina che crearono un vasto marchesato. Nel 1341 il territorio fu conquistato dai Visconti ed entrò a far parte del Ducato di Milano inserito nel Principato di Pavia e sottoposto ai conti Dal Verme. Nel 1743 si formò la Provincia di Bobbio passando sotto il Piemonte ed i Savoia ma dopo circa 50 anni la zona venne inserita nel Ducato ligure o di Genova e nella Divisione di Genova. Dopo l'unità d'Italia nel 1859 la provincia di Bobbio diviene circondario e passa alla nuova provincia di Pavia tornando in Lombardia. Solo nel 1923 Bobbio diviene piacentina passando quindi nell'Emilia-Romagna, ed il circondario viene smembrato e diviso tra province pavesi e genovesi. Parte dell'ex territorio bobbiese limitrofo rimane staccato e sempre unito alla provincia pavese.Nel panorama dei dialetti della provincia, quello bobbiese vanta proprie peculiarità, sia fonetiche che morfologiche e lessicali, rispetto al piacentino propriamente detto. Ciò è dovuto alla posizione geografica lungo la via di collegamento tra la Pianura Padana e il Genovese, dove il Piacentino confina con Liguria e Piemonte. Hanno influito inoltre le vicende storiche, essendo Bobbio passata sotto numerose dominazioni nel corso dei secoli: liguri, celti, romani, longobardi, franchi, signorie dei Visconti e degli Sforza, Spagna, Austria, repubbliche di Genova e Ligure, Piemonte, Lombardia ed infine sotto la provincia di Piacenza nel 1923, rimanendo sempre autonoma; quindi il dialetto locale non poteva che subire varie modifiche e influenze e rimanendo unico e non assimilabile.A partire dagli anni cinquanta, e con l'avvento della civiltà industrializzata, il territorio bobbiese pur isolato ha subito il più massiccio spopolamento specie giovanile ma anche il popolamento di gente, specie commercianti ed artigiani, esterna al territorio e con dialetti differenti. Ciò ha contribuito all'imbarbarimento dell'originale dialetto ormai parlato da pochi anziani.Del dialetto di Bobbio, oltre ai libri di storia, cultura e allo specifico dizionario, ci sono numerosi scritti e sono tipici il calendario ed il lunario bobbiesi, oltre a feste locali, folcloristiche e teatrali curate dall'associazione locale culturale "Ra familia Bubièiza".

:::LINGUA IN OLTREPO ALTA VAL TREBBIA-SCRIVIA LIGURE:::(PARTE 1)

Il dialetto bobbiese (ar dialèt bubièiś) è un dialetto della lingua emiliano-romagnola dell'appennino ligure, appartenente al gruppo linguistico gallo-italico tipico dei dialetti dell'Italia settentrionale, parlato a Bobbio e nella zona appenninica lungo la Val Trebbia della provincia di Piacenza ed in zone limitrofe e confinanti della provincia di Pavia e della provincia di Alessandria.Risente di forti contaminazioni dovute alla lingua lombarda (soprattutto nel lessico e in diverse espressioni idiomatiche), a quella piemontese e a quella ligure.Presenta vistose somiglianze con il lombardo occidentale o insubre, dovute ai secolari rapporti che la città di Bobbio e il suo circondario hanno intrattenuto con Milano.Similmente ad altre parlate del piacentino e delle province vicine quali il pavese, piemontese e ligure, è un dialetto transitorio tra le lingue emiliano-romagnola, lombarda e ligure, avendo caratteristiche proprie di entrambe.Il primo a codificare il dialetto bobbiese fu Bernardino Biondelli, nel Saggio sui dialetti Gallo-Italici pubblicato nel 1853. Il Biondelli lo pone nei dialetti emiliani e nel gruppo "Parmigiano", che secondo la sua catalogazione comprende il Parmigiano, il Piacentino, il Bobbiese, il Borgotarese, il Bronese, il Valenzano ed il Pavese. [1]Insieme al dialetto pavese occupa un ruolo centrale nell'ambito delle parlate gallo-italiche, confinando direttamente con tutti i quattro gruppi in cui esse si usano dividere ed essendo nel cuore delle quattro province.È nato dal latino volgare innestatosi sulla precedente lingua celtica parlata dai Galli che popolavano parte del Nord Italia. Come gli altri dialetti gallo-italici, nella storia ha subíto diverse influenze, tra cui quella longobarda (la cittadina fu sede di un feudo longobardo nel Medioevo). In epoche più recenti è stato influenzato dal francese e dal toscano. Ad esempio tramite il francese è stato introdotto il vocabolo gudron e successivamente catràm dal toscano, entrambi col significato di catrame.