martedì 28 febbraio 2012

VIA DEGLI ABATI

Il percorso della via Francigena che oggi conosciamo è quello descritto nel suo diario di viaggio dall’Arcivescovo Sigerico, nel ritorno da Roma verso Canterbury tra il 990 e il 994. Giunto a Pontremoli e dovendo attraversare l’Appennino, Sigerico scelse la via del passo della Cisa (Monte Bardone), che consentiva di raggiungere, disegnando un ampio arco, le città della pianura (Fidenza, Piacenza, Pavia).
Esisteva tuttavia anche un altro percorso, più antico, che passava attraverso i monti ed era praticato sin dal VII secolo soprattutto da chi viaggiava a piedi, quale tragitto più breve da Pavia a Lucca e verso Roma, transitando per Bobbio, Bardi, Borgovalditaro e infine Pontremoli.
Il percorso, utilizzato già dai sovrani longobardi prima della conquista della Cisa, controllata dai bizantini, toccava anche l’abbazia di Bobbio, nel cuore dell’Appennino, dove i pellegrini diretti a Roma e provenienti dalla Francia e dalle Isole Britanniche passavano a venerare le spoglie di San Colombano (+615), grande abate irlandese e padre, con San Benedetto, del monachesimo europeo. (Per questo tanto a Pavia che a Lucca esisteva già in età longobarda un hospitale di San Colombano). Il tragitto era parimenti seguito dagli abati di Bobbio per andare a Roma presso il pontefice, da cui l’abbazia direttamente dipendeva.
Ancora oggi questo storico percorso, denominato ora “Via degli abati” (o “Francigena di montagna”), che attraversa i valichi e le verdi vallate dell’Appennino toccando i centri medievali di Bobbio, Bardi, Borgovalditaro e Pontremoli, lontano dal traffico stradale e dall’afa della pianura, rappresenta una suggestiva variante per i viandanti della Francigena, specialmente durante la stagione estiva.
La mappa sottostante della Via Francigena (pubblicata nel sito del Comune di Gambassi Terme, Toscana, anno 2003), oltre a tratteggiare il percorso di Sigerico dalle Alpi a Roma, segnala anche la variante montana che passa per Bobbio e che corrisponde alla Via degli Abati.

mercoledì 8 febbraio 2012

LE PIU ANTICHE TESTIMONIANZE ARCHEOLOGICHE IN OLTREPO ALTA VAL TREBBIA-SCRIVIA LIGURE

 Le più antiche testimonianze archeologiche sulla valle Staffora risalgono al periodo del Neolitico (3500 a.C. circa): si tratta di sporadici rinvenimenti avvenuti a Guardamonte, Salice Terme e Castellaro di Varzi. Quest'ultimo, avvenuto nel... 1961, consiste nel ritrovamento di un'ascia litica in serpentino verde con le due facce convesse molto usurate. Il ritrovamento appare interessante per il l...uogo: nell'alta valle Staffora, dove è dunque testimoniata la presenza umana anche in epoche remote.
In epoca più recente, la valle Staffora è stata teatro dell'insediamento dei Liguri. Si tratta di una popolazione su cui le fonti storiche sono molto scarse e stereotipate e ricordano in genere la loro condizione primitiva. I Liguri sono una popolazione diffusa nell'Italia centrosettentrionale, in un'area corrispondente alla Toscana settentrionale, alla Liguria, al Piemonte e Val d'Aosta e alla Lombardia odierne, oltreché a frange montane dell'Emilia e del Trentino.I Liguri abitavano in borghi formati da capanne sparse e, non di rado, nelle caverne naturali, comuni sugli Appennini. Si occupavano di agricoltura di sussistenza, che non alleviava gli stenti e la povertà di cibo, dovuti alla conformazione montuosa del territorio appenninico. Altra fonte di cibo erano la caccia e la pesca, ove possibile. Per queste popolazioni il monte Penice aveva la prerogativa di montagna sacra: qui è stata rinvenuta nel 1924 una statuetta votiva, databile all'inizio dell'Impero, che testimonia la persistenza del monte come luogo di culto fin dai tempi antichi. La figura più venerata delle divinità liguri è Cicno (cigno), mitico re di questo popolo.
Dopo l'arrivo dei Celti nel VI-V secolo a.C., si forma una nuova stirpe, quella Celto-ligure, che si insedia nella valle Staffora mediante piccole tribù, che abbandonano le alte vette per insediarsi a mezza costa, in posizione più favorevole per procacciarsi il cibo. È il periodo della fondazione di villaggi come Varzi e, in seguito, Iria (Voghera). I Celti, al contrario dei Liguri, sono popolazioni linguisticamente appartenenti al ceppo indoeuropeo.La valle Staffora è ancora al centro della storia degli Appennini con la conquista romana del III secolo a.C., ma soprattutto dopo lo scoppio della II guerra punica nel 218 a.C. e l'arrivo del grande condottiero Annibale. Questi, dopo aver sconfitto i Romani nella battaglia del Trebbia (dicembre 218 a.C.), si attesta sui monti della valle Staffora. La sua permanenza ha lasciato numerose tracce: il toponimo Strada di Annibale dato alla mulattiera che da Brallo porta a Cima Colletta e al passo del Giovà; il rinvenimento nella stessa zona di una lancia, un coltello e alcune frecce.
Solo dopo la sconfitta di Annibale a Zama nel 202 a.C. i Romani riprendono la lotta contro i Liguri, sottomettendoli definitivamente nel 197 a.C. Inizia il periodo di dominazione romana, caratterizzata da insediamenti di presidi e colonie militari in pianura e lungo la via Postumia. La via Postumia è una strada consolare fatta costruire dal console romano Aulo Postumio Albino nel 148 a.C.; collegava Genova con Aquileia, passando per Libarna (presso Serravalle Scrivia), Derthona (Tortona), Clastidium (Casteggio), Placentia (Piacenza), Cremona, Verona Vicetia (Vicenza), Opitergium (Oderzo).Si tratta per lo più di una strada "di arroccamento", cioè una direttrice per gli spostamenti veloci delle truppe per la difesa del territorio e il suo controllo.
I Romani iniziano, poi, la penetrazione dell'alta valle Staffora, probabilmente sia a caccia dei disertori dell'esercito, che si erano rifugiati in zone inaccessibili, sia per i cristiani che, perseguitati nelle città, erano fuggiti sui monti. Proprio al periodo romano risale un importante ritrovamento: la fornace di Massinigo. Questa fu rinvenuta nel 1957 in occasione dei lavori di costruzione della scuola elementare. La fornace è una delle strutture di questo tipo meglio conservate in Lombardia e l'unico impianto produttivo del genere in Oltrepò. Il forno ha pianta circolare con fondazione in pietra locale e alzato in laterizi. Dell'impianto rimane un piano di cottura in argilla forato e sostenuto da un corridoio a volte che collegavano i muretti di sostegno della camera di combustione. Il legname combustibile veniva immesso tramite un praefurnium, conservatosi solo in parte. La fornace aveva tiraggio verticale: il calore usciva attraverso i fori del piano di cottura, riscaldava la camera dove si trovavano gli oggetti da cuocere e usciva da un camino. Questo manufatto serviva per la cottura di mattoni e tegole: lo spessore del piano di cottura è, infatti, notevole ed è stata rinvenuta una grande quantità di materiale edilizio all'interno della struttura stessa. Le analisi di tipo archeomagnetico hanno permesso di collocare l'ultimo momento di utilizzo del forno entro la prima metà del I secolo d.C