lunedì 8 settembre 2014

STORIA DEI SIGNORI MALASPINA

La famiglia Malaspina deriva da quella degli Obertenghi che, insieme agli Aleramici del Carretto e ad altre famiglie, domina la zona dell’Appennino Ligure.

Cosa significa Malaspina?
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Alcuni studiosi, tra cui il Muratori, riprendono la leggenda secondo cui Accino, un antenato del capostipite dei Malspina vissuto nel 549, uccide per errore con una spina Teodoberto I re dei Franchi mentre preparavano insieme un attacco ad un nemico comune.

La famiglia degli Obertenghi è una delle quattro importanti famiglie che hanno dominato la Liguria. Il castello di Oramala rappresenta la culla degli Obertenghi e poi dei Malaspina. Quella degli Obertenghi è considerata una famiglia di origine probabilmente franca, forse longobarda. L’antenato dei Malaspina è Bonifacio I detto il Bavaro, vissuto all’inizio del IX secolo d.C., riconosciuto da Carlo Magno come duca.

Oberto, il capostipite dei Malaspina, ottiene da Ottone di Sassonia, re del Sacro Romano Impero, la carica di conte del Sacro Palazzo, ossia rappresentante del re, e il feudo della Liguria Orientale; così i suoi possedimenti si estendono così su Toscana, Liguria e Piemonte arrivando quasi a Tortona.

Attivo protagonista delle vicende politiche del tempo, Oberto riesce ad occupare anche alcuni possedimenti fondiari di importanti monasteri come San Colombano a Bobbio ed è coinvolto in numerosi contrasti con l’abate di Bobbio Gerberto d’Aurillac che diventerà papa con il nome di Silvestro II.

I discendenti di Oberto si suddividono in vari rami che danno origine ad alcune importanti famiglie del territorio italiano, oltre al ramo principale dei Malaspina, la linea degli estensi da cui discendono anche gli Hannover che occupano Ferrara, Modena e Reggio Emilia, il ramo dei Pelavicino (dal cognome molto significativo di uno dei discendenti) che occupano Parma, Piacenza e Fidenza e altri rami con feudi sparsi nell’Appennino tosco-ligure-piemontese.

Nel X secolo gli Obertenghi si insediano nella fortificazione di Oramala.

Il primo documento che nomina Oramala risale al 1029: il diacono Gerardo dona al marchese Ugo degli Obertenghi, insieme ad altri beni, la rocca di Oramala. Questa passa ad Alberto Azzo I e a Oberto Obizzo che vi risiede e nel documento del 1056 viene nominato il suo vassallo Rustico da Oramala. Con il termine rocca, Oramala è individuata come fortificazione sulla sommità del monte.

Nel 1167 il Barbarossa viene aiutato da Obizzo a raggiungere Pavia attraverso i sentieri tracciati dai mulattieri nell’Appennino e passa una notte ad Oramala.

Tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo la corte di Oramala vive il periodo di maggior splendore anche culturale: viene celebrato il joi, la gioia della giovinezza, dell’amor cortese.

Importanti trovatori originari della Provenza vengono accolti dai nobili delle corti del Nord, tra cui i marchesi di Monferrato e dai Malaspina. Il castello di Oramala, posto sull’antichissima strada che dalla Val Bisagno risaliva attraverso il passo della Scoffera in Val Trebbia e poi attraverso il passo del Brallo in Val Staffora, tra Tortona e Pavia, è l’unico castello malaspiniano nominato nei testi trobadorici, a testimonianza dell’importanza strategica rivestita da questa corte nell’ambito del sistema di comunicazione e delle relazioni di potere del tempo.

Il primo trovatore ad entrare in contatto con i Malaspina è Raimbaut de Vaqueiras, originario della Valchiusa, resa famosa dai versi di Petrarca. Raimbaut sosta alla corte di Obizzo il Grande ed oltre ad essere un eccezionale testimone delle vicende politiche e militari che coinvolgono i Malaspina è famoso per essere il primo poeta a comporre delle strofe in un volgare italiano, il genovese.

Negli anni seguenti, durante il periodo della condivisione del potere tra Guglielmo e Corrado (ricordato da Dante come “l’Antico”), altri importanti trovatori vengono accolti a Oramala e celebrano la fama dei Marchesi, che sul modello della corte del Monferrato trovano nella poesia dei compositori itineranti un significativo elemento di prestigio: Aimeric de Peguilham, Peire Raimon, Albertet de Sisteron, Aimeric de Belenoi e Guihem de la Tor si cimentano nel genere del cortège de dames (corteo di dame), chiamando a raccolta attorno a Selvaggia e Beatrice Malaspina le più importanti nobildonne dell’epoca.

Nel 1221, dopo la morte di Guglielmo, avviene la storica divisione dei beni e la distinzione araldica tra il ramo dello Spino Secco e delle Spino Fiorito.

In base alla spartizione le valli della Staffora e del Curone vengono assegnate, unitamente a una porzione dei feudi lunigianesi, ad Obizzino. Nel 1275 un’ulteriore spartizione assegna ad Alberto, figlio di Obizzino, i castelli di Oramala, Monfalcone e Valverde; al nipote Francesco Pozzolgroppo, Bagnaria e Pietragavina; agli altri nipoti Varzi, Santa Margherita e Casanova.

Nel XIII secolo inizia il declino, anche a causa del continuo frazionamento del patrimonio tra gli eredi dei Malaspina.

Oramala rimane in possesso dei Malaspina fino al XVIII secolo.

Nel 1985 per volontà dei fratelli Panigazzi, inizia l’opera di ricostruzione delle parti crollate della struttura.

Fonte: www.spinofiorito.com

mercoledì 23 aprile 2014

IL DIALETTO BOBBIESE...ALLE ORIGINI DELLE 4 PROVINCE

Il dialetto bobbiese vanta proprie peculiarita', sia fonetiche che morfologiche e lessicali, rispetto al piacentino propriamente detto.
Cio' e' dovuto alla posizione geografica lungo la via di collegamento tra la Pianura Padana e il Genovese, dove il Piacentino confina con Liguria e Piemonte.
Hanno influito inoltre le vicende storiche, essendo Bobbio passata sotto numerose dominazioni nel corso dei secoli: Liguri, Celti, Romani, Longobardi, Franchi, Contea monastica prima e vescovile poi, Contea-Signoria dei Malaspina e dei Dal Verme sotto il Ducato di Milano dei Visconti e degli Sforza, Spagna, Austria, repubbliche di Genova e Ligure, Provincia di Bobbio (piemontese sotto i Savoia e poi sotto Genova e Pavia) ed infine sotto la Provincia di Piacenza nel 1923, rimanendo sempre autonoma; quindi il dialetto locale non poteva che subire varie modifiche e influenze e rimanendo unico e non assimilabile.
Del dialetto di Bobbio oltre al dizionario ci sono numerosi scritti e sono tipici il calendario ed il lunario bobbiesi, oltre a feste locali, folcloristiche e teatrali curate da "ra Familia bubieiza". Attorno al 572 la zona, assieme a buona parte del nord d'Italia, fu conquistata dai Longobardi che fecero di Bobbio un centro politico, religioso e culturale dopo il 614, quando la zona fu assegnata all'abate missionario ed evangelizzatore irlandese San Colombano e grazie ai monaci della potente Abbazia di San Colombano si formò un feudo monastico cosmopolita con popolazioni celtiche, franche e germaniche inserito nel Ducato ligure.
Nel 774 il feudo monastico del monastero di Bobbio è inserito nel regno dei Franchi e nella Contea ligure dopo la conquista del territorio da parte di Carlo Magno con allargamenti territoriali, successivamente sarà inserito in buona parte nella Marca Obertenga dopo la suddivione del territorio ligure in marche e contee.
Queste popolazioni, a differenza dei Romani, non imposero i loro costumi e la loro lingua, ma differentemente accquisirono la parlata locale inserendo tipiche terminologie sopravvissute sino ad oggi, specie nella toponomastica dei luoghi.
Nel 1014 Bobbio ebbe il titolo imperiale di città e divento Contea vescovile, ma nel 1164 il Barbarossa tolse numerosi possedimenti assegnandoli ai discendenti degli Obertenghi, tra i quali ebbero un ruolo di primo piano i Malaspina che crearono un vasto marchesato. Nel 1341 il territorio fu conquistato dai Visconti ed entrò a far parte del Ducato di Milano inserito nel Principato di Pavia e sottoposto ai conti Dal Verme. Nel 1743 si formò la Provincia di Bobbio passando sotto il Piemonte ed i Savoia ma dopo circa 50 anni la zona venne inserita nel Ducato ligure o di Genova e nella Divisione di Genova. Dopo l'unità d'Italia nel 1859 la provincia di Bobbio diviene circondario e passa alla nuova provincia di Pavia tornando in Lombardia. Solo nel 1923 Bobbio diviene piacentina passando quindi nell'Emilia-Romagna, ed il circondario viene smembrato e diviso tra le province di Genova e Pavia. Parte dell'ex territorio bobbiese limitrofo rimane aggregato alla provincia pavese.
Nel panorama dei dialetti della provincia, quello bobbiese vanta proprie peculiarità, sia fonetiche che morfologiche e lessicali, rispetto al piacentino propriamente detto. Ciò è dovuto alla posizione geografica lungo la via di collegamento tra la Pianura Padana e il Genovese, dove il Piacentino confina con Liguria e Piemonte.
A partire dagli anni cinquanta, e con l'avvento della civiltà industrializzata, il territorio bobbiese pur isolato ha subito il più massiccio spopolamento specie giovanile ma anche il popolamento di gente, specie commercianti ed artigiani, esterna al territorio e con dialetti differenti. Ciò ha contribuito all'imbarbarimento dell'originale dialetto ormai parlato da pochi anziani.
Del dialetto di Bobbio, oltre ai libri di storia, cultura e allo specifico dizionario, ci sono numerosi scritti e sono tipici il calendario ed il lunario bobbiesi, oltre a feste locali, folcloristiche e teatrali curate dall'associazione locale culturale "Ra familia Bubièiza".

sabato 1 marzo 2014

:::VIA FRANCIGENA:::(VIA DEI MALASPINA)...

La Via Francigena, anticamente chiamata Via Francesca o Romea e detta talvolta anche Franchigena, è parte di un fascio di vie che conduceva alle tre principali mete religiose cristiane dell'epoca medievale: Santiago de Compostela, Roma e Gerusalemme. I primi documenti d'archivio che citano l'esistenza della Via Francigena risalgono al XIII sec. e si riferiscono a un tratto di strada nel territorio di Troia in provincia di Foggia. Il percorso di un pellegrinaggio che il vescovo Sigerico nel X sec. fece da Canterbury per giungere a Roma rappresenta una delle testimonianze più significative di questa rete di vie di comunicazione europea in epoca medioevale, ma non esaurisce le molteplici alternative che giunsero a definire una fitta ragnatela di collegamenti che il pellegrino percorreva a seconda della stagione, della situazione politica dei territori attraversati, delle credenze religiose legate alle reliquie dei santi.Il pellegrinaggio a Roma, in visita alla tomba dell'apostolo Pietro era nel medioevo una delle tre peregrinationes maiores insieme alla Terra Santa e a Santiago di Compostela. Per questo l'Italia era percorsa continuamente da pellegrini di ogni parte d'Europa.La Francigena non era propriamente una via ma piuttosto un fascio di vie, un sistema viario con molte alternative.Gli ostacoli naturali che i pellegrini ed i viandanti dovevano superare erano il canale della Manica, le Alpi e gli Appennini oltre che il FIUME PO .Nel tratto di Via Francigena che portava dalla Pianura padana alla Toscana, si registravano diverse varianti di percorso che sfruttavano i vari valichi risalendo la val TREBBIA e passando per BOBBIO (via degli ABATI). La VIA DEL MARE (VM) è un sentiero che collega la Pianura Padana al Mar Ligure, da Tortona a Portofino attraversando l'Appennino ligure e perpendicolare al tracciato dell'Alta via dei Monti Liguri.
Il percorso corrisponde all'antica via del sale detta "VIA DEI MALASPINA" un antico percorso per il commercio del sale che correva in gran parte nei feudi controllati dalla famiglia Malaspina, da Varzi, verso Genova o verso Sori, Recco o Portofino.
Il sentiero è interessato da un progetto promosso a partire dal 2009 dalle province di Pavia e di Genova, il Parco naturale lombardo della Valle del Ticino, il Parco naturale regionale dell'Antola e il Parco naturale regionale di Portofino per la creazione di un percorso escursionistico tra Milano e Portofino con un asse centrale di 170 km di lunghezza (Milano, Pavia, Voghera, Varzi, monte Chiappo, Capanne di Cosola, Capanne di Carrega, monte Antola, Torriglia, monte Lavagnola, Uscio, Ruta, Pietre Strette e Portofino). Su questo asse centrale si innestano diversi raccordi e la "rete di percorsi verdi" si estende su un territorio di 11.000 km quadrati e interessa le province di Pavia, Milano, Piacenza, Alessandria e Genova. I territori interessati si estendono dalla pianura di Milano, Pavia, Piacenza e Alessandria fino alla Riviera ligure di Levante, passando per i colli dell’Oltrepò Pavese, del piacentino e dell’alessandrino e i monti e i crinali delle valli Staffora, Versa, Tidone, Curone, Borbera, Trebbia, Scrivia e Fontanabuona. La Via dei Malaspina è un percorso alternativo della Via Francigena che parte da Pavia e raggiunge Bobbio, passando per Voghera, Varzi e il Passo della Scaparia. Attraversa così l'intera Valle Staffora, in Oltrepo Pavese.
Altro...

martedì 14 gennaio 2014

LA VIA DEL SALE IN OLTREPO ALTA VAL TREBBIA-SCRIVIA LIGURE

La via del sale nella regione culturalmente omogenea definita delle QUATTRO PROVINCE è un antico tracciato che permetteva il commercio del sale mettendo in comunicazione Pavia con Genova. Attraverso questa via transitavano le merci provenienti dal settentrione, soprattutto lana e armi, per raggiungere il porto di Genova dove, per il viaggio di ritorno veniva caricato il sale, materiale prezioso di difficile reperimento nei territori lontani dal mare, indispensabile per la conservazione degli alimenti e la concia del cuoio.
La via seguiva tutta la valle Staffora (provincia di Pavia), percorreva il crinale che divide la val Borbera (provincia di Alessandria) dalla val Boreca (provincia di Piacenza) per scendere in val Trebbia.
Il percorso da Pavia si dirigeva verso sud, su strade e mulattiere, toccando Voghera, si inoltrava lungo la valle Staffora, passando per Varzi, risaliva il fondovalle fino al paese di Castellaro, saliva al monte Bogleglio (1492 m), passando sul crinale per il monte Chiappo (1700 m), il monte Cavalmurone, il monte Legnà, il monte Carmo e il monte Antola (1597 m) discendeva a Torriglia in val Trebbia, punto di incontro con i tracciati piemontesi ed emiliani e da lì raggiungeva agevolmente Genova attraverso il passo della Scoffera.
Dopo la caduta dei Longobardi a opera di Carlo Magno il Sacro Romano Impero costituì i feudi Imperiali con lo scopo di mantenere un passaggio sicuro verso il mare; assegnò questi territori a famiglie fedeli che dominarono per secoli questi feudi.
Le valli: Staffora, Borbera, Curone, Trebbia, Aveto, Magra, erano sotto il dominio della famiglia Malaspina che, in accordo con la città di Pavia, garantiva il flusso delle merci attraverso il suo territorio riscuotendo relative tasse e gabelle e garantiva la sicurezza delle merci e la protezione dei viandanti. L'apertura di questa via per il mare fece diventare il paese di Varzi un centro commerciale di grande importanza fornito di negozi, magazzini, depositi e protetto da un castello cinto da mura.Il trasporto dei sacchi di sale veniva effettuato a dorso di mulo, le strette e disagevoli mulattiere che si inerpicavano sui pendii non permettevano certo il passaggio di carri. Una rete con punti di tappa, offriva ad uomini ed animali, alloggio e stallazzo per questa lunga traversata.
Oggi la via del sale, perso il suo valore commerciale, è divenuta meta di escursioni e trekking, snodandosi in un ambiente di particolare interesse naturalistico.
Tre sono le aree di salvaguardia:
il Giardino botanico alpino di Pietra Corva presso Romagnese in val Tidone istituito nel 1967 per salvaguardare le specie botaniche di alta quota.
la Riserva naturale del monte Alpe (provincia di Pavia) istituita nel 1983.
il Parco naturale regionale dell'Antola in provincia di Genova istituito nel 1995.
La Via del Mare (VM) è un sentiero che collega la Pianura Padana al Mar Ligure, da Tortona a Portofino attraversando l'Appennino ligure e perpendicolare al tracciato dell'Alta via dei Monti Liguri.
Il percorso corrisponde all'unione della Greeway Milano-Varzi e dell'antica Via del Sale un antico percorso per il commercio del sale, e non solo, che correva in gran parte nei feudi controllati dalla famiglia Malaspina, da Varzi, verso Genova o verso Sori, Recco o Portofino.
Il sentiero è interessato da un progetto promosso a partire dal 2009 dalle province di Pavia e di Genova, il Parco naturale lombardo della Valle del Ticino, il Parco naturale regionale dell'Antola e il Parco naturale regionale di Portofino per la creazione di un percorso escursionistico tra Milano e Portofino con un asse centrale di 170 km di lunghezza (Milano, Pavia, Voghera, Varzi, monte Chiappo, Capanne di Cosola, Capanne di Carrega, monte Antola, Torriglia, monte Lavagnola, Uscio, Ruta, Pietre Strette e Portofino). Su questo asse centrale si innestano diversi raccordi e la "rete di percorsi verdi" si estende su un territorio di 11.000 km quadrati e interessa le province di Pavia, Milano, Piacenza, Alessandria e Genova. I territori interessati si estendono dalla pianura di Milano, Pavia, Piacenza e Alessandria fino alla Riviera ligure di Levante, passando per i colli dell’Oltrepò Pavese, del piacentino e dell’alessandrino e i monti e i crinali delle valli Staffora, Versa, Tidone, Curone, Borbera, Trebbia, Scrivia e Fontanabuona. Il tratto fra Pavia e Varzi è in comune con la Via dei Malaspina, percorso alternativo in Oltrepò pavese della Via Francigena

DIVERSI INTINERARI DELLA VIA DEL SALE NELLE QUATTRO PROVINCE

Dove comincia l'Appennino

La via del sale



Con la denominazione di via del sale si è soliti riferirsi agli antichi percorsi di commercio che mettevano in comunicazione la pianura Padana con il mar Ligure: il sale infatti, utilizzato per la conservazione dei cibi, era la più preziosa delle merci trasportate dai muli o dai carri, insieme all'olio ligure, a lana, pelli, cuoio, lino e canapa provenienti da oltremare, in cambio del vino e di altri prodotti dei versanti padani.
Esistono in realtà moltissime vie del sale: l'espressione è usata almeno dalla Toscana fino all'estremo Ponente ligure. Alle vie del sale di quest'ultima zona Nico Orengo ha dedicato un libro intitolato "Il salto dell'acciuga"; le acciughe erano infatti un'altra delle merci che transitavano dal mare verso la pianura, il che spiega perché una specialità gastronomica piemontese, la bagna cauda, sia a base di acciughe. Giustamente quindi è intitolato "Le vie del sale", al plurale, un altro libro di Fabrizio Capecchi, che illustra nove itinerari fra pianura e mare, che varcano l'Appennino ligure in altrettanti passi.
Dove passava la via del sale nella fascia di territorio delle Quattro Province? Un riferimento ovvio per l'enorme volume delle merci che vi transitavano, in arrivo o in partenza con le navi, era il porto di Genova. La direttrice sud-nord corrispondente a Genova passa per la valle del Polcévera o per quella del Bisagno, e di lì sul versante padano viene a trovarsi proprio nei nostri bacini dello Scrivia, del Curone e del Trebbia. Il percorso effettivo dipendeva però dallo stato delle strade, dalla natura delle merci e dei mezzi di trasporto, e dalla maggiore o minore convenienza dei dazi doganali fra i diversi stati in cui era suddiviso il territorio: nei secoli i loro confini sono variati, dai Feudi imperiali all'epoca ottocentesca del Regno di Sardegna (che si spingeva ad est fino a Bobbio) e del Ducato di Parma e Piacenza.
Attualmente le ferrovie e le autostrade sfruttano i fondovalle, per cui la rotta principale è quella fra Genova Pontedécimo e Tortona attraverso uno dei valichi più bassi dell'intero Appennino, il passo dei Giovi. In passato era invece sulle alture che si trovavano vie più dirette e stabili, più sicure dagli agguati dei briganti e che evitavano i bordi acquitrinosi dei torrenti, il cui guado avrebbe richiesto l'uso dei trampoli (gampi o garampi), essendo i ponti disponibili ancora pochi.
"Salivamo e scendevamo di volta in volta delle coste montuose assai erte e ripide. Attraversavamo le asperità della catena appenninica che si presentava alcune volte brulla, altre fittamente boscosa; seguivamo sentieri angusti bagnati da acque scroscianti, seminati di sassi e pietre. [...] Dovevamo attraversare frequentemente un torrente [il basso corso del Curone] che, per le sue sinuosità, sembrava moltiplicarsi sotto i nostri passi. La guida, allora, staccava i suoi trampoli, se li aggiustava ai piedi e sotto le braccia e quindi, con grandi falcate, oltrepassava il torrente. Talvolta con le estremità dei trampoli pungolava l'asino che voleva fermarsi a bere o si voleva sdraiare in mezzo all'acqua con il carico del baule e del porta abiti." [Étienne de Jouy, L'Hermite en Italie, 1824, ed. it. Gian Luigi Olmi, Bobbio 1994]


La via dei Malaspina

La catena di principale di monti che forma l'ossatura delle Quattro Province offre una "highway" da sud a nord, che dai monti Lavagnola e Àntola attraverso le Capanne di Carrega, il Carmo, il Cavalmurone, le Capanne di Còsola, il Chiappo e il Boglelio, arriva nella zona di Varzi. Questo percorso permetteva di mantenersi per un lungo tratto nei feudi controllati dai Malaspina: "tale famiglia è assai antica; tutte le zone delle montagne di Bobbio, le valli della Trebbia e quelle della Staffora si chiamavano anticamente Lingua Malaspina" [Jouy, cit.]. Essendo i Malaspina alleati di Pavia contro Milano, in base a una legge del 1284 tutti i mercanti pavesi erano obbligati a seguire questo percorso "per ipsam stratam vallis Stafole et vallis Trebie", pagando ai marchesi dei pedaggi in cambio dei quali era garantita una certa sicurezza. Lungo l'itinerario sorsero perciò locande e ospizi, fra cui quello di San Giacomo patrono dei pellegrini, del quale alcune rovine erano ancora visibili negli anni Trenta, presso Casale Stàffora [Alberto Arecchi, Crociati, templari, pellegrini, Oi petres, Belgioioso 1995]. I sentieri di crinale, inoltre, offrono collegamenti diretti e sui quali è facile individuare la direzione giusta per chi ne abbia un minimo di conoscenza. Per questo erano utilizzati ancora in tempi recenti dagli abitanti dei paesi delle Quattro Province, che in un paio di giorni di buon cammino erano capaci di raggiungere Varzi da Genova o viceversa.
Proprio i collegamenti viari ed economici possono spiegare le caratteristiche culturali delle Quattro Province, come evidenziano gli studi storici di Mauro Casale. Insieme alle merci e ai muli passavano infatti le persone, con le loro conoscenze, le notizie, i dialetti, gli usi. Gli archivi parrocchiali della media val Trebbia rivelano spesso, insieme ai cognomi di origine locale, quelli di sposi, testimoni o padrini di battesimo provenienti da località della val Bisagno o dell'alta val d'Aveto, lontane ma fittamente collegate. Anche le danze tradizionali con muse e pifferi erano un tempo diffuse verso la Riviera, ed è probabile che siano state trasmesse proprio lungo la via del sale, per rimanere più tardi attestate soltanto nelle valli alte, mentre l'entroterra genovese veniva trasformato più rapidamente dall'avvento delle usanze moderne. Gli scambi tra le due aree si mantennero comunque fino al Novecento, quando i grandi suonatori di Bruggi, Cegni e Negruzzo si recavano regolarmente in Fontanabuona (Neirone, Uscio, Testana...) a suonare e ad acquistare i pifferi che avevano commissionato al Grixu di Cicagna — nel caso di Jacmon combinando l'attività artistica con quella di commerciante di bestiame. Il loro arrivo era atteso da tutti come un avvenimento, come ci racconta una signora ultranovantenne di Bertone, che ricorda con emozione lo scintillio della fisarmonica facente capolino insieme al piffero dalla sella che separa il paese dalla val Boreca.
Questa via del sale più alta è quella che oggi viene riportata sulle guide escursionistiche ed è spesso percorsa da gruppi guidati o autonomi, per la sua indubbia valenza paesaggistica e ambientale: si cammina per decine di chilometri attorno ai 1500 metri in mezzo a pascoli, faggi (fo) e maggiociondoli (azburni), e nelle giornate limpide si può ammirare un panorama che spazia fino alle Alpi Apuane, al mare, al Monviso e alla chiostra delle Alpi. Il segnavia mantenuto su tutto il percorso dalla Federazione italiana escursionismo è un quadrato blu pieno, corrispondente all'itinerario da Tortona a Portofino detto "Via del mare", e coincidente la via del sale malaspiniana.
Strade asfaltate raggiungono i valichi alti di Capanne di Cosola e Capanne di Carrega, ma volendo intraprendere un percorso più completo e partire dal basso, come facevano i mulattieri, la località di avvio più significativa del versante padano è Varzi (o, nella parallela val Curone, Fabbrica). Il centro medievale di questa cittadina è molto interessante, con i suoi portici bassissimi e robusti sorretti da travi di legno, le torri di pietra dei Malaspina e delle altre famiglie importanti, gli oratori delle congregazioni e la chiesa romanica dei Cappuccini. Varzi è anche molto nota alla gastronomia grazie al suo straordinario salame, prodotto anche in tutta la zona circostante, la cui tradizione sarebbe da associare proprio alla disponibilità di sale (salame = "carne salata").
Passato il ponte sullo Staffora, il segnavia svolta a sinistra dapprima costeggiando il torrente e poi salendo decisamente in direzione di Castellaro (dove incrocia più volte una strada asfaltata) e quindi del crinale. Arrivare a Capanne di Cosola per la sera richiede però molte ore di cammino di buon passo, e chi preferisca prenderla più comoda può invece mantenersi più a destra, inizialmente sulla strada per Fabbrica, ammirando la conca di Nivione con i suoi suggestivi calanchi, fra i quali si trova la casetta dove si rifugiavano i partigiani capeggiati da "Primula Rossa". Da San Michele di Nivione una sterrata non segnata porta attraverso i boschi a Cella, dove si trova un ristorante-albergo. Oggi ricadente nel comune di Varzi, questa località si chiamava in origine Cella di Bobbio, evidentemente perché sede di monaci dell'abbazia di San Colombano; vi si possono osservare le rovine di un piccolo castello e la stranissima chiesa-museo detta Tempio della Fraternità. Dal Tempio un facile sentiero porta rapidamente a Selvapiana, grazioso paese intonacato di bianco sul versante della val Curone: si può ristorarsi e pernottare alla "Genzianella", uno degli ultimi locali in cui suonò l'anziano Jacmon, oggi dedito al recupero di sapori locali come il formaggio montébore e le erbe officinali coltivate di fronte all'albergo.
Tra Selvapiana e Forotondo parte una strada forestale attraverso i rimboschimenti di pino nero effettuati negli scorsi decenni: in salita decisa ma regolare ci si porta così al Pian della Mora, dove si trova un capanno aperto con tavoli e da cui inizia il crinale principale. A percorrerlo è in questo tratto una strada sterrata, che oltrepassata la groppa del monte Boglelio scorre piacevolmente fra tratti boscosi e altri aperti, a cavallo fra i terreni di Forotondo in val Curone e quelli di Cegni in valle Staffora. Anche il monte Bagnolo non è che il culmine di uno dei dolci saliscendi del profilo della catena. Scendendone si incontra un altro capanno con panche, nel punto dove in passato sorgeva un vero e proprio albergo, frequentato da folle di persone nelle giornate estive. Poco più avanti, nel punto in cui la strada si trasforma in un sentiero nel bosco, siamo al colle della Seppa, valico fra i paesi di Bruggi e Negruzzo. Si prosegue ancora a saliscendi oltrepassando le alture del Garavè e del monte Rotondo, finché al passo della Mula ci si prospetta davanti una decisa salita, che porta ai 1700 metri del monte Chiappo. Sulla sua cima, presidiata da una statua di San Giuseppe, si incontrano la Lombardia, il Piemonte e l'Emilia-Romagna. A pochi passi c'è un rifugio, aperto soltanto per pranzo nella stagione estiva e nelle domeniche invernali in cui si scia sulla pista che scende al Pian dell'Armà. Al Chiappo confluisce un altro importante crinale formato dai monti Giarolo, Gropà, Panà e Ebro, fra le alte valli Curone e Borbera; il Chiappo e l'Ebro, di quota praticamente uguale, sono separati solo dall'avvallamento della Bocca di Crenna, raggiunto recentemente da una strada asfaltata. In questo tratto tira spesso un forte vento, probabilmente perché si tratta dei rilevi più alti interposti fra la pianura e il mare.
Dal monte Chiappo si scende rapidamente all'importante valico delle Capanne di Cosola, vero cuore delle Quattro Province, dove si incontrano le strade che salgono dalla val Borbera e dalla valle Staffora (con il passo del Giovà) e quella strettissima e a strapiombo della val Boreca, che fra ripidi versanti boscosi scende verso il Trebbia; dalle Capanne si arriva in auto (con un po' di attenzione!) anche a due dei paesi più interessanti dell'alta val Boreca, Artana e Bogli. Proprio sul valico si trova l'omonimo albergo, da varie generazioni gestito dalla cosolana famiglia Callegari: le fotografie all'interno mostrano come all'inizio del Novecento qui non vi fossero che un paio di costruzioni, dove potevano alloggiare i muli e i viandanti, il che non toglie che per la festa di Sant'Anna vi si riversassero enormi quantità di gente e di bancarelle. L'albergo è un posto particolare, già antico confine fra Regno di Sardegna e Ducato di Parma e Piacenza, dove ci si trova sospesi in mezzo ai monti in ogni direzione: l'arrivo della cultura emiliana si può sentire tra l'altro mangiandovi una tipica specialità piacentina, i pissarein e fazö́. È sempre qui che, appropriatamente, si svolge alla fine di ottobre il raduno dei suonatori di piffero e fisarmonica delle Quattro Province.
Dalle Capanne si può riprendere il viaggio in direzione sud lungo il crinale che separa la alessandrina val Borbera, con i paesi di Còsola, Daglio, Cartasegna, Carrega, Magioncalda, dalle piacentine valli Boreca e Terenzone che scendono verso il Trebbia, con Bogli, Bertone, Alpe e Varni. Il crinale sale al monte Cavalmurone e poco dopo al monte Legnà o Legnaro (per i cosolani a Lama), ai piedi del quale si trovava un importante valico fra Borbera e Boreca, il passo del Legnà. Si prosegue in un bel tratto panoramico e poi rientra nella faggeta, avanzando verso il monte Carmo, altro punto di congiunzione di tre regioni, dove tocchiamo ora anche la Liguria. Con un tratto in discesa, da cui si stacca sulla sinistra il crinale che porta al monte Alfeo, si giunge alle Capanne di Carrega, un semplice gruppo di vecchie case e stalle allineate. La sua antica storia di locanda con stallaggio per i muli è fortunatamente ripresa da qualche anno, con la ristrutturazione in un agriturismo che produce interessanti formaggi, gestito da una famiglia locale; poco lontano, lungo la strada asfaltata che conduce a Fascia e a Propata, c'è anche la Casa del Romano, rifugio-ristorante più comodo e molto frequentato la domenica.
Ma la via del sale procede piegando leggermente verso sud-ovest, tra bei prati fioriti e altre faggete, in direzione dell'Antola. In una piccola radura nel bosco, facendo attenzione a sinistra fra le piante, si possono notare tre vecchie croci di legno, ricordo di tre paesani di ritorno dalla stagione di lavoro in risaia che, dopo un lungo viaggio a piedi per la val Borbera, erano ormai quasi arrivati a casa quando furono lì sorpresi da una bufera e morirono assiderati. Anche un monte non molto distante ha preso il nome di Tre Croci. Infine, usciti dal bosco, si prospettano davanti i prati del monte Antola, classicissima meta di escursioni e di pellegrinaggi, soprattutto per la festa di San Pietro alla fine di giugno. La festa si svolgeva al suono di clarinetto e fisarmonica davanti al rifugio gestito per molti anni dalla famiglia Musante, e oggi purtroppo ridotto in rovina. Il luogo rimane comunque speciale, sia per la ricchezza delle fioriture sui suoi prati, sia per la sua posizione nodale nella porzione sud delle Quattro Province: dall'Antola infatti si dipartono i crinali che separano le valli dei Campassi (affluente del Borbera), del Vobbia (valico di San Fermo e monte Buio), del Brevenna (monte Liprando) e del Pentemina, mentre le sue pendici meridionali, che proseguono con le alture del Cremado e del Prelà, comprendono sia le sorgenti dello Scrivia che quelle del Trebbia. Un nuovo rifugio è stato realizzato dal Parco dell'Antola a poca distanza.
Dai 1597 metri dell'Antola il percorso comincia a scendere rapidamente in direzione del mare, ancora lontano. Superato il passo del Colletto si percorre una serpeggiante mulattiera di grossi sassi, e a quota 1000 si tocca il paese di Donetta, dove è possibile pernottare in un bed and breakfast. Altrimenti, la tappa classica è Torriglia, il grosso paese che si trova ancora sotto, centro animato da negozi (non trascurate focacce e canestrelli), punto di partenza di corriere e luogo di villeggiatura per i genovesi. Torriglia è collegato con Genova attraverso il passo della Scoffera, il paese di Bargagli e la val Bisagno. L'itinerario escursionistico tuttavia rimane più a est, proseguendo sul monte Lavagnola, alla testata della Fontanabuona, arrivando a Uscio, significativamente sviluppato in lunghezza sui due margini dell'antica strada, e di lì a Sori oppure a Recco (anch'essi porti di carico del sale) e sul monte di Portofino, dove il percorso si può concludere con i sentieri in mezzo alla macchia mediterranea e con un rinfrescante bagno.


La via della Salata

Se la via del sale alta si presta a belle esperienze escursionistiche, un altro percorso di quota minore è ricco di riferimenti storici e ricordato anche localmente come itinerario di commercio. Questo percorso, percorribile in buona parte anche in auto, segue valli e valichi disposti anch'essi in direzione nord-sud, che permettono di restare più in basso (scelta necessaria nei mesi invernali) limitando comunque i dislivelli da superare fra una valle e l'altra. Il crinale principale est-ovest dell'Appennino ligure viene infatti superato nel suo punto in assoluto più basso (468 m), la Crocetta d'Orero, e anche la parte settentrionale del tragitto non comporta dislivelli eccessivi, passando dalla val Borbera al Genovesato in un luogo chiamato significativamente Salata. A capire l'importanza relativa delle diverse località, assai diversa da quella attuale, ci aiutano le carte geografiche del Sette- e Ottocento, collezionate da Giuseppe Bessone e raccolte in un bel volume [La Liguria nelle carte e nelle vedute antiche, De Agostini, Novara 1992], che indicano località corrispondenti talvolta ai paesi di riferimento attuali, talvolta a frazioni oggi quasi abbandonate, e in qualche caso a località di identificazione misteriosa.
Nella zona in cui sboccano gli itinerari montani, gran parte delle carte riporta il paese di Volpedo, nella bassa val Curone, facilmente raggiungibile da Tortona e Voghera e quindi dalle altre città della pianura. Volpedo, che vanta una notevole pieve millenaria, è stato reso celebre dal pittore Giuseppe Pellizza, vissuto a cavallo tra Ottocento e Novecento, la cui opera a sfondo sociale "Il quarto stato" è conosciuta in tutto il mondo; i sabati e le domeniche pomeriggio è possibile visitare lo studio-museo del pittore, con la competente guida di volontari del paese. L'interesse di Pellizza sta anche nel suo profondo legame con il paese e con tutto il territorio, che ha ritratto in opere come "Sassi neri del Penice".
Da Volpedo si può risalire attraverso il dolce paesaggio della media val Curone, passando per Brignano (sede di un castello e citato su molte carte) e oltrepassando l'antico confine fra i feudi tortonesi e quelli della Repubblica di Genova: questo passaggio è tuttora riflesso nel dialetto, fin lì di tipo lombardo, che diventa nettamente ligure a partire da San Sebastiano; gli abitanti della vicina Frascata parlano infatti un curioso e insolito idioma ibrido. San Sebastiano Curone è chiaramente ligure anche nell'architettura: le case del centro storico, disposto sulla confluenza nel Curone del suo affluente Museglia, sono già strette e alte, intonacate di vivaci colori gialli e rossi.
Lasciando a sinistra l'alta val Curone, si imbocca invece quella del Museglia, e dopo un primo tratto pianeggiante ci si avvia sulla destra a risalire le alture di Dernice. All'inizio di questa strada, nei pressi di Poldini si può vedere una vistosa piega geologica in cui gli strati sedimentari si rovesciano quasi completamente. Questo percorso mette in comunicazione la val Curone con l'alta val Borbera, che è rimasta a lungo isolata rispetto a quella bassa dalle selvagge strette di Pertuso, non superate fino a tempi abbastanza recenti da alcuna strada carrabile. Sul tratto di valico sorgono i paesi di Dernice e poco lontano di Montébore, che controllavano la zona a cavallo fra il Curone, il Grue e il Borbera con strategici castelli: sulle carte si trovano infatti le indicazioni "Cast. Derniz" e talvolta anche "Montebore", e nel 1715 "Sasso". Da anziani di questi paraggi è stata recuperata la ricetta quasi scomparsa di un gustoso formaggio detto appunto montebore, diventato negli ultimi anni una vera ricercatezza, al pari del vino timorasso. Poco dopo si arriva a Vigoponzo ("Vico Ponzo"), anch'esso molto antico e un tempo sede di un monastero, e a Zebedassi.
Da qui la strada mostra un'ampia panoramica dei verdi terreni digradanti verso il Borbera, aldilà del quale si trovano invece severe e ripide rocce. Sono i Conglomerati di Savignone, una formazione costituita da sassi cementati in una matrice sedimentaria, che attraversa le valli Scrivia, Vobbia e Borbera caratterizzandole fortemente sia per il paesaggio che per la difficoltà dei collegamenti: questa roccia è infatti meno erodibile dei Calcari dell'Antola, che dominano invece nei tratti superiori delle valli e sul crinale principale. Per questo, curiosamente, le alte valli Borbera e Vobbia offrono panorami più ampi, dolci e antropizzati che i loro tratti inferiori. A sinistra, sulle ampie falde del monte Giarolo, si vede un grosso palazzo fortificato, il castello di Borgo Adorno, legato alla nobile famiglia degli Adorno.
La via del Sale raggiunge il letto del Borbera a Cantalupo, nodo viario visibile su quasi tutte le carte. Come gli altri centri principali dell'alto Borbera (Albéra, Cabella, Carrega, Roccaforte, Rocchetta), il nome di Cantalupo è seguito dal suffisso Ligure, a sottolineare che i legami storici, culturali e linguistici di questa zona sono più forti con il Genovesato che con le basse valli. Siamo fra "i Piemontesi con la lingua dei Genovesi" citati nella canzone della bella Angiolina, ben conosciuta in alta val Borbera. Il centro storico di Cantalupo, oggi aggirato dalla strada provinciale, rivela invece una via centrale nettamente rettilinea, con il nome di un vecchio albergo che sbiadisce sui muri di una casa: era chiaramente questo il percorso della via del sale, nell'epoca in cui le strade passavano dal centro dei paesi anziché evitarli come avviene oggi. Pare che nell'Ottocento fosse attivo a Cantalupo un costruttore di pifferi, certamente il fornitore dei grandi suonatori delle valli Curone e Borbera.
A poca distanza da Cantalupo, in località San Nazzaro, si trova un importante bivio, in corrispondenza del quale è oggi il noto ristorante "da Bruno". Lasciando a sinistra la strada principale della val Borbera, imbocchiamo invece la valle del suo affluente Sìsola, il cui andamento rettilineo da nord a sud costituisce una scorciatoia naturale che ne fece un collegamento strategico. Appena oltre il ponte sul Borbera troviamo infatti un centro importante, Rocchetta Ligure; lungo la via centrale si trova il notevole palazzo dei nobili Malaspina, recentemente ristrutturato e sede del Comune. La via rettilinea sbocca attraverso un arco, che apre la nostra vista alla valletta del Sisola che ci apprestiamo a risalire.
Raggiungiamo un piccolo borgo che porta lo stesso nome della valle, e sulle carte sembra corrispondere a vari nomi: "Suzella" (1840, 1836), "Suzelle" (1791), "Sirsura" (1770), e in precedenza "Isola" (1797, 1784, 1783, 1754, 1749, 1747). Il nome Isola si ritrova in altri luoghi delle Quattro Province: Isola del Cantone in valle Scrivia, Isola di Rovegno in val Trebbia, Esola in val d'Aveto: in genere non si riferisce a un'isola nel senso moderno, ma a un luogo separato dagli altri da corsi d'acqua (a Isola del Cantone lo Scrivia e il Vobbia), oppure a un possedimento amministrativamente separato come nel caso di Isola del Vescovo, vecchio nome di Molassana in val Bisagno. La carta del 1836 mostra anche i successivi paesi di Pagliaro e Vergagni, quest'ultimo già sede di un'abbazia.
Risalendo il Sisola giungiamo a Mongiardino, comune sparso che sulle carte è citato alternativamente come "Mongiardino" o come "Lago", nome di due delle sue frazioni: la strada passava da queste — Lago Patrono e Lago Cerreto — e dalle case Camincasca, dalle quali infatti una bella mulattiera sale al valico, lasciando sulla sinistra la località Maggiolo dove si trova oggi la chiesa parrocchiale. Da qui la strada si inerpica verso il crinale con la val Vobbia, che raggiunge però assai rapidamente. Siamo al valico di Costa Salata, il cui nome è evidentemente riferibile alla sua funzione di transito commerciale. Oggi è invece un luogo decisamente appartato, e non vi si trovano che un ristorante e un gruppo di vecchie case. Molte carte riportano nelle vicinanze (a dire il vero un poco più a est, ma la precisione delle carte antiche è notoriamente approssimativa) anche il toponimo di "Monte Salato" o "Monte Salatto". In quella direzione si trova anche l'altro importante valico di San Clemente, dove fino a pochi anni fa era attiva un'osteria, guardato dalla nota cappella di San Fermo. Entrambi i valichi immettono dal bacino del Borbera in quello del Vobbia, dove si trovano le località di Vallenzona, Arezzo e Sarmoria (citate nel 1836), Salata di Mongiardino e Salata di Vobbia. Si scende per alcuni tornanti, toccando il Mulino di Salata o Mulino del Cascè, costruzione isolata dove si trova un ristorante, e proseguendo in direzione del capoluogo della valle.
Vòbbia ("Vobbia", "Vobia", "Ubia"; cfr. anche "Obbietta", attuale Vobbietta) è posta alla confluenza dei torrenti Vallenzona e Fabio, la cui congiunzione forma il Vobbia. Poco più a valle il torrente attraversa i Conglomerati di Savignone fra versanti ripidi e selvaggi, nei quali si erge l'impressionante Castello della Pietra ("la Preda"?), incastrato fra due torrioni rocciosi. Anche a Vobbia si può identificare facilmente una strada centrale che passa sotto un arco e accanto all'oratorio seicentesco della Trinità. Oltre al nucleo centrale con la chiesa, il paese è costituito da un secondo nucleo oltre il Vallenzona (Torre) e un altro oltre il Fabio (Case Fabio). È da quest'ultimo che si sale, attraverso un tratto di castagneti, al valico che immette in valle Scrivia. In questo tratto la provincia di Genova ha posto alcuni pannelli illustrativi degli antichi percorsi della via del sale.
Dal nucleo periferico di Vallemara ("Valle Amara") si entra a Crocefieschi ("Croce de Fie[s]chi", "Croce"), importante centro di passaggio e commercio edificato proprio sul valico. Nel suo nome attuale è ricordata la famiglia dei Fieschi, che per alcuni secoli dominò ampie zone delle Quattro Province, arrivando ad insidiare il potere genovese dei Doria con la fallita Congiura dei Fieschi del 1547.
I Fieschi tenevano l'importante castello e il palazzo di Savignone, altro grosso centro nelle vicinanze. Da lì si scendeva al greto dello Scrivia, che si varcava in località Ponte (indicata nel 1836), da cui attraverso San Bartolomeo di Vallecalda si poteva portarsi nel bacino del torrente Secca, nell'attuale comune di Serra Riccò, per dirigersi a Genova dalla parte di ponente.
Un altro percorso scendeva da Crocefieschi passando per una chiesa di "San Giorgio", via Sorrivi e Montemaggio, a Casella, che sorge sullo Scrivia poco più a monte. Nella piazza centrale di Casella si trova infatti un palazzo i cui locali fungevano da deposito del sale e delle altre merci. Come nota Capecchi, la disposizione della piazza e delle vie vicine, perpendicolare all'attuale strada principale, tradisce la vecchia logistica, che era orientata in direzione del valico della Crocetta d'Orero, poco oltre lo Scrivia; il valico è ancora oggi sfruttato dalla ferrovia a scartamento ridotto Casella-Genova, oltre che da una strada carrozzabile.
Dal Molinetto, poche case presso il paesino di Orero (da non confondere con quello omonimo in val Fontanabuona), si arrivava nel territorio di Sant'Olcese ("S. Orsis"), a Trensasco, e da qui in corrispondenza della recente galleria stradale in val Bisagno, ormai alle porte di Genova: per la precisione si sboccava nelle località, indicate anche dalle carte antiche, di Pino Soprano, Pino Sottano e Olmo, dove "c'era un tempo la stazione di posta e l'antica osteria dell'Olmo, nota in tutta la valle del Bisagno" [Giorgio Casanova, Le valli di Genova. Il Levante, SAGEP, Genova 1993].
In questa zona però le alternative erano numerose, anche a seconda del punto della Riviera verso cui si era diretti. A monte di Casella, un altro importante centro era Montoggio, da cui per la Colletta si arrivava alle Tre Fontane, sede di un santuario di antiche origini, di una fiera tuttora organizzata l'8 settembre, e della storia osteria della Rosin; quindi o al valico di Creto e di qui a Aggio e San Siro di Struppa, oppure alla zona dell'attuale lago artificiale Val di Noci e alla gola di Sisa, suggestivo valico prativo, da cui per mulattiere tuttora ben visibili si scendeva su San Martino e San Cosimo di Struppa.
Ancora, trovandosi nella zona di Fallarosa (citata nel 1836) e Laccio, si poteva passare l'Appennino alla Scoffera, scendendo nell'alta val Bisagno per Meco presso Morànego e Davagna, oppure sul versante orografico opposto per Bargagli e Traso, dove convergevano anche gli itinerari provenienti da Sant'Oberto, punto di snodo con la Fontanabuona e l'alta val Trebbia.
Si arrivava in ogni caso ai mulini di Cavassolo, all'inizio dello storico acquedotto di Genova, quindi a Molassana (dove confluiva anche il percorso dell'Olmo), e infine alla Foce, nella zona della stazione di Genova Brìgnole. Il tratto del Bisagno dove il torrente compie un'ampia curva a sinistra è detto ancora Giro del Fullo, perché vi si trovava uno stabilimento per la follatura della lana. L'ultima parte del Bisagno, oggi in parte coperta, era un tempo popolata di orti e di fruttivendoli: questi ultimi in città sono tuttora chiamati i bezagnini. Era perciò possibile comportarsi come il pescatore raccontato da De André in "Le acciughe fanno il pallone":
"Se sbarcherò alla Foce
e alla Foce non c'è nessuno
la faccia mi laverò
nell'acqua del torrente..."

giovedì 2 gennaio 2014

IL TERRITORIO DELL'OLTREPO ALTA VAL TREBBIA-SCRIVIA LIGURE,E' RIMASTO APPROSSIMATIVAMENTE CIRCOSCRITTO NELLA REGIONE ECCLESIASTICA LIGURIA SOTTO LA DIOCESI DI TORTONA.....

La diocesi di Tortona (in latino: Dioecesis Derthonensis) è una sede della Chiesa cattolica suffraganea dell'arcidiocesi di Genova e appartenente alla REGIONE ECCLESIASTICA LIGURIA.
Il territorio della diocesi si trova a cavallo di ben quattro regioni amministrative: Piemonte, Liguria, Lombardia ed Emilia-Rom...agna. Le sue 314 parrocchie sono infatti così suddivise sul territorio:

144 nella provincia di Alessandria;
143 nella provincia di Pavia;
27 nella provincia di Genova.
Pur non avendo alcuna parrocchia in provincia di Piacenza, una piccola porzione di territorio diocesano appartiene a quella provincia.

Sede vescovile è la città di Tortona, dove si trova la cattedrale di Maria Santissima Assunta e di San Lorenzo.
Comprende interamente o in parte i comuni di Albera Ligure (AL), Arquata Scrivia (AL), Basaluzzo (AL), Borghetto di Borbera (AL), Cabella Ligure (AL), Cantalupo Ligure (AL), Carrega Ligure (AL), Castelletto d'Orba (AL), Corte Brugnatella (PC), Crocefieschi (GE), Isola del Cantone (GE), Fascia (GE), Grondona (AL), Montaldeo (AL), Mongiardino Ligure (AL), Montebruno (GE), Novi Ligure (AL), Pasturana (AL), Pozzolo Formigaro (AL), Rocca Grimalda (AL), Roccaforte Ligure (AL), Rocchetta Ligure (AL), Rondanina (GE), Santa Margherita di Staffora (PV), Savignone (GE), Silvano d'Orba (AL), Tassarolo (AL), Torriglia (GE), Zerba (PC).
Tortona è città di antichissima origine; la sua "romanità" è attestata a partire dal 222 a.c., anno della distruzione di Clastidium (Casteggio). La zona tortonese si rivelò molto strategica , in quanto posta all'intersezione tra le principali vie di comunicazione, quali: la via Fulvia, la via Postumia, la via Emilia, che univano Genova con Piacenza e la Pianura Padana con le Gallie.
La Diocesi di Tortona conobbe, fin dalle origini, un rapido sviluppo, tanto che, nel 1014, cede alcune delle sue parrocchie all'erigenda Diocesi di Bobbio.
Conferenza episcopale della Liguria
Presidente: Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova
Vicepresidente: Martino Canessa, vescovo di Tortona
Segretario: Alberto Tanasini, vescovo di Chiavari
Membro: Alberto Maria Careggio, vescovo di Ventimiglia-San Remo
Membro: Vittorio Lupi, vescovo di Savona-Noli
Membro: Francesco Moraglia, vescovo della Spezia-Sarzana-Brugnato
Membro: Mario Oliveri, vescovo di Albenga-Imperia
Membro: Luigi Ernesto Palletti, vescovo ausiliare di Genova Albera Ligure, Arquata Scrivia, Avolasca, Basaluzzo, Borghetto di Borbera, Cabella Ligure, Cantalupo Ligure, Carezzano, Carrega Ligure, Cassano Spinola, Castellania, Castelnuovo Scrivia, Castelletto d'Orba, Gavazzana, Grondona, Montaldeo, Mongiardino Ligure, Monleale, Novi Ligure, Pasturana, Pontecurone, Pozzolo Formigaro, Roccaforte Ligure, Rocca Grimalda, Rocchetta Ligure, San Sebastiano Curone, Sant'Agata Fossili, Silvano d'Orba, Tassarolo, Tortona, Viguzzolo, Volpedo, Albaredo Arnaboldi, Arena Po, Bagnaria, Barbianello, Bastida de' Dossi, Bastida Pancarana, Borgo Priolo, Borgoratto Mormorolo, Bosnasco, Brallo di Pregola, Bressana Bottarone, Broni, Calvignano, Campospinoso, Canevino, Canneto Pavese, Casatisma, Casei Gerola, Castana, Casteggio, Castelletto di Branduzzo, Cecima, Cervesina, Cigognola, Codevilla, Corana, Cornale, Corvino San Quirico, Fortunago, Gambarana, Godiasco, Golferenzo, Lirio, Lungavilla, Menconico, Mezzana Bigli, Mezzana Rabattone, Mezzanino, Montalto Pavese, Montebello della Battaglia, Montecalvo Versiggia, Montescano, Montesegale, Mornico Losana, Montù Beccaria, Oliva Gessi, Pancarana, Pietra de' Giorgi, Pinarolo Po, Pizzale, Ponte Nizza, Portalbera, Rea, Redavalle, Retorbido, Rivanazzano, Robecco Pavese, Rocca de' Giorgi, Rocca Susella, Rovescala, Ruino, San Cipriano Po, San Damiano al Colle, Santa Giuletta, Santa Margherita di Staffora, Santa Maria della Versa, Silvano Pietra, Stradella, Torrazza Coste, Torricella Verzate, Val di Nizza, Varzi, Verretto, Verrua Po, Voghera, Volpara, Zavattarello, Zenevredo; Busalla, Casella, Crocefieschi, Fascia, Isola del Cantone, Montebruno, Propata, Ronco Scrivia, Rondanina, Savignone, Torriglia, Valbrevenna.La REGIONE ECCLESIASTICA LIGURIA è una delle sedici regioni ecclesiastiche in cui è suddiviso il territorio della Chiesa cattolica in Italia. Il suo territorio comprende la maggior parte della regione amministrativa Liguria (che è in parte compresa nelle regioni ecclesiastiche Piemonte ed Emilia-Romagna) e parti delle province di Alessandria, Pavia e Cuneo. Questa regione ecclesiastica corrisponde alla provincia ecclesiastica dell'ARCIDIOCESI DI GENOVA:
Arcidiocesi di Genova
Diocesi di Albenga-Imperia
Diocesi di Chiavari
Diocesi della Spezia-Sarzana-Brugnato
Diocesi di Savona-Noli
Diocesi di Tortona
Diocesi di Ventimiglia-San Remo 

 ORGANIGRAMMA CONFERENZA EPISCOPALE LIGURIA 2014
Presidente: Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova
Vicepresidente: Martino Canessa, vescovo di Tortona
Segretario: Alberto Tanasini, vescovo di Chiavari
Membro: Alberto Maria Careggio, vescovo di Ventimiglia-San Remo
Membro: Vittorio Lupi, vescovo di Savona-Noli
Membro: Mario Oliveri, vescovo di Albenga-Imperia
Membro: Luigi Ernesto Palletti, vescovo della Spezia-Sarzana-Brugnato. DIOCESI SOPPRESSE
Diocesi di Luni
Diocesi di Bobbio
Diocesi di Brugnato
Diocesi di Noli
Diocesi di Accia
Diocesi di Mariana
Diocesi di Nebbio

IL TERRITORIO DELL'OLTREPO ALTA VAL TREBBIA-SCRIVIA LIGURE,E' RIMASTO APPROSSIMATIVAMENTE CIRCOSCRITTO NELLA REGIONE ECCLESIASTICA LIGURIA SOTTO LA DIOCESI DI TORTONA.....
La diocesi di Tortona (in latino: Dioecesis Derthonensis) è una sede della Chiesa cattolica suffraganea dell'arcidiocesi di Genova e appartenente alla REGIONE ECCLESIASTICA LIGURIA.
 Il territorio della diocesi si trova a cavallo di ben quattro regioni amministrative: Piemonte, Liguria, Lombardia ed Emilia-Romagna. Le sue 314 parrocchie sono infatti così suddivise sul territorio:

 144 nella provincia di Alessandria;
 143 nella provincia di Pavia;
 27 nella provincia di Genova.
 Pur non avendo alcuna parrocchia in provincia di Piacenza, una piccola porzione di territorio diocesano appartiene a quella provincia.

 Sede vescovile è la città di Tortona, dove si trova la cattedrale di Maria Santissima Assunta e di San Lorenzo.
 Comprende interamente o in parte i comuni di Albera Ligure (AL), Arquata Scrivia (AL), Basaluzzo (AL), Borghetto di Borbera (AL), Cabella Ligure (AL), Cantalupo Ligure (AL), Carrega Ligure (AL), Castelletto d'Orba (AL), Corte Brugnatella (PC), Crocefieschi (GE), Isola del Cantone (GE), Fascia (GE), Grondona (AL), Montaldeo (AL), Mongiardino Ligure (AL), Montebruno (GE), Novi Ligure (AL), Pasturana (AL), Pozzolo Formigaro (AL), Rocca Grimalda (AL), Roccaforte Ligure (AL), Rocchetta Ligure (AL), Rondanina (GE), Santa Margherita di Staffora (PV), Savignone (GE), Silvano d'Orba (AL), Tassarolo (AL), Torriglia (GE), Zerba (PC).
Tortona è città di antichissima origine; la sua "romanità" è attestata a partire dal 222 a.c., anno della distruzione di Clastidium (Casteggio). La zona tortonese si rivelò molto strategica , in quanto posta all'intersezione tra le principali vie di comunicazione, quali: la via Fulvia, la via Postumia, la via Emilia, che univano Genova con Piacenza e la Pianura Padana con le Gallie.
 La Diocesi di Tortona conobbe, fin dalle origini, un rapido sviluppo, tanto che, nel 1014, cede alcune delle sue parrocchie all'erigenda Diocesi di Bobbio.
 Conferenza episcopale della Liguria 
 Presidente: Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova
 Vicepresidente: Martino Canessa, vescovo di Tortona
 Segretario: Alberto Tanasini, vescovo di Chiavari
 Membro: Alberto Maria Careggio, vescovo di Ventimiglia-San Remo
 Membro: Vittorio Lupi, vescovo di Savona-Noli
 Membro: Francesco Moraglia, vescovo della Spezia-Sarzana-Brugnato
 Membro: Mario Oliveri, vescovo di Albenga-Imperia
 Membro: Luigi Ernesto Palletti, vescovo ausiliare di GenovaNon si può dubitare che alla metà del IV secolo la diocesi tortonese fosse stabilmente costituita, avendo a capo prima il vescovo Innocenzo, poi Esuperanzio, discepolo di sant’Eusebio di Vercelli. Nel periodo delle invasioni germaniche Tortona pose le basi della sua fortuna futura, estendendo la propria giurisdizione, cominciando da quella ecclesiastica, sui territori soggetti in precedenza ai municipi distrutti; località come Libarna, Iria (Voghera), Forum Fulvii subirono infatti danni tali da essere praticamente cancellate. L’invasione longobarda determinò certamente una divisione del territorio di Tortona che divenne in parte soggetto ai longobardi, in parte ai bizantini, con conseguenti complicazioni giurisdizionali al punto che, ancora nel XII secolo, il vescovo di Lodi rivendicava diritti nel tortonese, evidentemente ricollegandosi a quelli dei suoi predecessori ariani dell’epoca longobarda. Tra la fine del IX e il X secolo, in relazione alle minacce esterne (invasioni degli Ungari, sbarchi dei saraceni), cominciò ad affermarsi sempre più chiaramente la supremazia anche civile dei vescovi di Tortona: Beato, cancelliere di Berengario I re d’Italia e poi arcicancelliere di Rodolfo II di Borgogna e di Ugo di Provenza; Giseprando, cancelliere di Ugo e di Lotario fu vescovo di Tortona e contemporanemente abate di Bobbio. Fu lui a fondare in Tortona l’abbazia di San Marziano. Altro vescovo uscito dalla cancelleria imperiale fu Gereberto, al quale l’imperatore Ottone II nel 979 riconfermò tutti i beni posseduti dai suoi predecessori e in più la districtio, cioè la giurisdizione anche civile su Tortona e fuori di essa per un’ampiezza di tre miglia. Ottenne così definitiva sanzione il vescovato, cioè l’insieme delle terre direttamente soggette al potere feudale del vescovo di Tortona e di cui fecero parte con altre località Stazzano, Carezzano, Sant’Agata, Sarizzola, Costa e Castellania; questo dominio cessò definitivamente solo nel 1784, allorché il vescovo Pejretti accettò di cedere i suoi diritti a Vittorio Amedeo III di Savoia in cambio del titolo onorifico di principe di Cambiò (Goggi 1973).
Prima dell’anno 1000 la diocesi di Tortona aveva dilatato i suoi confini in forma autonoma, estendendosi oltre l’Appennino e giungendo sino al Mar Ligure nella zona di Sestri Levante, sede di molte comunità monastiche. Ma dall’XI secolo le circostanze politiche ebbero effetti sempre più vistosi anche nella delimitazione delle circoscrizioni ecclesiastiche. Nel 1014 la diocesi fu costretta a cedere alcune sue parrocchie alla diocesi di Bobbio. Nel 1175, dopo l’assedio dell’imperatore Federico I e la riedificazione della città, le vennero sottratte molte parrocchie, che concorsero alla fomazione della diocesi di Alessandria. Le vicende politiche dei secoli successivi, invece, cioè il trapasso dal libero comune alla signoria dei Visconti e degli Sforza, poi la soggezione alla dominazione spagnola, infine l’annessione ai domini di casa Savoia con la pace di Vienna del 1738 e, per quanto riguarda il Vogherese, con la pace di Aquisgrana del 1748, non alterarono sostanzialmente l’ambito territoriale diocesano (Borgarelli 1996), se si esclude la mutilazione operata dal provvedimento di Innocenzo IV in data 3 giugno 1248 con l’assegnazione all’arcidiocesi di Genova delle pievi della Valle Lemme e di quelle di Valle Scrivia, soggette a quel tempo alla giurisdizione civile di Genova. I limiti giurisdizionali ecclesiastici tortonesi agli inizi del XVI secolo erano sostanzialmente quelli nominati nella bolla di Innocenzo III del 30 aprile 1198, i cui punti estremi erano rappresentati dall’ospedale di Reste sul colle della Bocchetta, la pievania di Rovegno con la suffraganea di Torriglia e Cervesina. Il medesimo territorio, però, era ripartito tra le giurisdizioni civili della repubblica di Genova, del ducato di Milano, del vescovato ovvero della signoria dei vescovi di Tortona, della signoria pontificia di Albera e dei feudi imperiali, che estendevano la loro giurisdizione sulla maggior parte delle parrocchie della diocesi. Tortona, sede del vescovo, era posta nel ducato di Milano (Tacchella 1966).
Dal catalogo delle chiese, dei benefici e del clero compilato da monsignor de Zazii nel 1523, il forese risultava organizzato nelle pievi San Pietro di Montacuto, Retorbido, San Germano di Varzi, San Ponzo, Valle Ardivestra, cioè San Zaccaria presso Godiasco, Santa Maria di Fabbrica, San Vittore di Val Curone, Voghera, San Gaudenzio, Luta o Codevilla, Vicolardario o Riva, San Desiderio di Brignano, San Pietro di Volpedo, Santa Maria di Viguzzolo, San Rufino di Sarezzano, San Giovanni di Garbagna, Santa Maria di Vezzano, San Pietro di Cassano, San Vittore di Mondoglio o dei Rati o Borghetto, San Giorgio di Rocca Spinola, San Giovanni di Albera, Ottone, San Giovanni o Marziano di Rovegno, Santo Stefano della Casella, Santa Maria della terra di Novi, Santa Maria di Prelo, San Virgilio di Valle dell’Orba, San Pietro del Bosco, San Felice di Frugarolo, San Marziano di Sparvaria, San Giovanni in Sale, San Pietro di Castelnuovo, San Martino di Casei, Santa Maria di Pontecurone, Gerola (Catalogo 1523).

La diocesi di Tortona, suffragane di Milano, venne visitata nel 1576 da monsignor Gerolamo Ragazzoni vescovo di Famagosta, designato per volontà dell’arcivescovo di Milano Carlo Borromeo visitatore apostolico di Milano e della provincia milanese. Le pievi visitate dal Ragazzoni e dai suoi coadiutori erano 33 con le relative chiese parrocchiali e cappelle dipendenti, cioè San Ruffino di Sarezzano, Garbagna, San Pietro di Monte Acuto, Albera, San Giobatta di Rovegno, Ottone, Arpapiana (Alpepiana), Santo Stefano di Caselle (Casella Scrivia), San Giorgio della Rocca degli Spinoli (Roccaforte Ligure), San Vittore di Borghetto, Cassano, Novi, San Pietro di Castelnuovo, San Pietro di Silvano, Serravalle, Bosco, Fregarolo, Ponte Curone, Viguzzolo, Casei Gerola, Sale, Carezzano, Riva di Nazzano, Volpedo, Valcurone, Brignano, Fabbrica, Varzi, Butrio, San Ponzo, San Zaccaria di Godiasco, San Gaudenzio, Luta (Codevilla), Voghera (Tacchella 1966).
Una fonte più tarda, cioè gli atti del sinodo di monsignor Maffeo Gambara, risalenti al 1595, riportavano un catalogo delle parrocchie e delle altre istituzioni ecclesiastiche della diocesi tortonese. Da esso risultava che nella diocesi vi erano 33 pievi, 180 parrocchie (compresi 14 ministrati), 5 collegiate, 99 canonicati, 251 cappellanie e benefici, 137 chiese non parrocchiali, 51 oratori dei battuti (disciplinati), 14 oratori non appartenenti ai battuti, 85 confraternite del Santissimo Sacramento, 22 confraternite del Santissimo Rosario, 10 confraternite della Beata Vergine, 4 confraternite del Nome di Gesù, 4 altre confraternite non meglio identificate, 29 tra conventi e monasteri di uomini, 16 tra conventi e monasteri di donne, 3 precettorie, 28 ospedali. In epoca post-tridentina non tardarono a introdursi in diocesi, su raccomandazione del vescovo Cesare Gambara, i monti di pietà. Nel sinodo del nipote dello stesso Gambara, Maffeo, erano indicati due monti di pietà a Casei, dei quali uno amministrato dai confratelli del Santissimo Sacramento, l’altro da quelli della Santissima Trinità; uno a Viguzzolo; uno a Serravalle; uno a Tortona, eretto dai confratelli della compagnia del Santissimo Sacramento nella chiesa della Canale e approvato da Pio V nel 1589. In seguito ne furono fondati pochi altri, insieme a un limitato numero di monti frumentari, per la distribuzione di grano ai bisognosi.
Nel secondo sinodo del vescovo Settala, convocato nel 1673, risultava già stabilita la distribuzione delle parrocchie e delle pievi della diocesi in otto regioni. La prima regione comprendeva la città di Tortona e quattro capopievi, cioè Castelnuovo, Caselle, Sale, Cambiò; la seconda regione altre quattro capopievi, cioè Novi, Bosco, Fregarolo, Silvano; la terza regione cinque capopievi, cioè Voghera, Ponte Curone, Codevilla, Rivanazzano, San Zaccaria; la quarta regione sei capopievi, cioè Cabella, Rocca degli Spinola, Albera, Caselle, Fabbrica, Montacuto; la quinta regione quattro capopievi, cioè Torriglia, Rovegno, Carrega, Ottone; la sesta regione sei capopievi, cioè Montebruno, Bregnano, San Sebastiano, San Ponzo, Gremiasco, Varzi; la settima regione cinque capopievi, cioè Cassano, Arquata, Borghetto, Serravalle, Stazzano; l’ottava regione sei capopievi, cioè Casale Noceta, Viguzzolo, Carezzano, Volpedo, Garbagna, Sarezzano (Goggi 1965).
Nel 1803 la diocesi di Tortona fu soppressa e incorporata in quella di Alessandria, a seguito della bolla pontificia 1 giugno 1803, che operò una nuova organizzazione delle Chiese piemontesi. In seguito, con il decreto 17 luglio 1805, venne ricostituita la sede vescovile di Casale Monferrato, trasferendo in questa tutti i diritti e il territorio prima assegnati ad Alessandria e cioè in Casale furono concentrate le diocesi di Alessandria, Tortona e Bobbio. Le tre diocesi divennero distretti ecclesiastici della diocesi di Casale. A questo declassamento si accompagnarono forti riduzioni territoriali. Le parrocchie di Belforte, Basaluzzo, Castelletto d’Orba, Casaleggio Boiro, Francavilla Bisio, Fresonara, Lerma, Montaldeo, Mornese, Silvano d’Orba e Tagliolo Monferrato passarono alla diocesi di Aqui. Cambiò e Mezzana Bigli furono unite alla diocesi di Pavia. Passarono al distretto di Bobbio Sant’Alberto e Sant’Eusebio (sotto il vicariato di Val di Nizza), Cencerrato, Colleri, Pregoli (sotto il vicariato di Monarsolo), Campi, Gorreto, Cerignale, Carisasca, Orezio, Zerba, Selva, Alpepiana, Rezoaglio, Allegrezze (sotto Ottone capopieve), Fontanarossa, Alpe, Casanova, Cabanne, Casale, Priosa, Fontanigorda (sotto Rovegno capopieve). Le parrocchie di Sale, Guazzora, Frugarolo e Bosco Marengo passarono al distretto di Alessandria. Alluvioni di Cambiò, con il cascinale Montarsolo, nel 1806 fu unita a Grava, nel 1813 Alluvioni fu eretta in parrocchia; per la stessa ragione Balossa, attualmente parrocchia nella diocesi di Vigevano, restò separata da Gerola cui apparteneva.

Dopo la Restaurazione, con la bolla “Beati Petri” di Pio VII del 17 luglio 1817, Tortona ricuperò la dignità vescovile e le parrocchie furono suddivise tra trenta capopievi, organizzate in dieci distretti. Molte parrocchie assegnate nel periodo antecedente ad altre diocesi o ad altri distretti risultarono definitivamente perdute. Belforte, Casaleggio, Lerma, Mornese e Tagliolo Monferrato rimasero con Aqui; Bosco Marengo e Frugarolo con Alessandria; Allegrezze, Alpepiane, Cabanne, Canale, Cariseto, Casanova, Cerignola, Fontanigorda, Orezzoli, Ottone, Priosa, Rezoaglio, Rovegno e Zerba con Bobbio. Da Pavia e da Piacenza passarono alla diocesi tortonese quelle il cui territorio politicamente faceva parte degli stati di casa Savoia. Da Pavia vennero Baselica, capopieve, e le parrocchie da essa dipendenti, cioè Arena, San Cipriano, Pontalbera, Stradella, Parpanese, Luzzano, Bosnasco, Rovescala; Castelletto, capopieve, e le parrocchie da essa dipendenti, cioè Pancarana, Bastida, Mezzana Rabattone, Torre del Monte, Staghiglione, Verrua, Cusana e Mezzanino. Da Piacenza passarono a Tortona le parrocchie di Argine, Barbianello, Broni, Calcabobbio, Calvignano, Canevino, Canneto, Casatisma, Castagnera, Castana, Casteggio, Cigognola, Corvino, Donelasco, Fortunago, Genestrello, Golferenzo, Lirio, Mairano, Mondonico, Montalto, Montarco, Montecalvo, Montebello, Montù, Mormorola, Mornico, Oliva, Pinerolo, Porana, Rea, Redavalle, Robecco, Rocca dei Giorgi, San Damiano, Santa Giuletta, Soriasco, Stefanago, Torricella, Verreto, Villa Illibardi, Volpara e Zenevredo. La diocesi di Tortona così ristabilita contava 264 parrocchie. Nel 1817 la diocesi di Tortona fu staccata dalla provincia ecclesiastica di Milano, cui era appartenuta dalle origini, e incorporata in quella di Genova; in conseguenza di ciò, la diocesi di Tirtona fa oggi parte della regione ecclesiastica ligure.
Verso la metà del XIX secolo, secondo quanto si desume dal sinodo tenuto da monsignor Negri nel 1843, la diocesi di Tortona era articolata in regioni o distretti, a loro volta organizzati in vicariati. Il primo distretto o regione comprendeva le parrocchie della città e dei Corpi Santi di Tortona, i vicariati di Pontecurone, Sale, Sarezzano, Cambiò, Castelnuovo Scrivia, Viguzzolo; il secondo distretto o regione comprendeva i vicariati di Voghera, Casei, Cervesina, Codevilla, Godiasco; il terzo distretto o regione comprendeva i vicariati di Novi, Cassano Spinola, Borghetto, Serravalle, Silvano Adorno; il quarto distretto o regione comprendeva i vicariati di Casteggio, Montebello, Argine, Santa Giuletta; il quinto distretto o regione comprendeva i vicariati di Broni, Arena, Montù Beccaria, Soriasco, Stradella; il sesto distretto o regione comprendeva i vicariati di Montaldo e Mormorola; il settimo distretto o regione comprendeva i vicariati di Varzi, Bagnara, Cegni, Pej, Pizzocorno; l’ottavo distretto o regione comprendeva i vicariati di Torriglia, Montebruno, Gorreto; il nono distretto o regione comprendeva i vicariati di Casella, Croce de’ Fieschi, Borlasca, Roccaforte; il decimo distretto o regione comprendeva i vicariati di Albera, Cabella, Carrega; l’undicesimo distretto o regione comprendeva i vicariati di San Sebastiano, Cella, Bruggi, Momperone; il dodicesimo distretto o regione comprendeva i vicariati di Garbagna, Avolasca, Carezzano maggiore, Sant’Agata (Goggi 1965). Nel corso del XIX e XX secolo, il numero delle parrocchie è andato costantemente aumentando, fino al numero di 314 degli anni più recenti, distribuite in 152 comuni (oltre a questi i comuni di Savignone, Valbrevenna, Busalla, Ronco Scrivia, Isola del Cantone, Arquata Scriva sono divisi tra le diocesi di Tortona e Genova; Menconico e Ruino tra le diocesi di Tortona e Piacenza-Bobbio; Gambarana tra Tortona e Vigevano) appartenenti alle province di Alessandria (144), Pavia (143), Genova (27) e raggruppate in otto zone pastorali suddivise ulteriormente in vicariati (Borgarelli 1996).