lunedì 19 giugno 2017

L' ERA ALTO MEDIOEVALE IN OLTREPO ALTA VAL TREBBIA-SCRIVIA LIGURE


Dal 614 si formò il Feudo monastico di Bobbio con al centro l'Abbazia di San Colombano, che successivamente diverrà Contea Vescovile avendo avuto il titolo di Città da Enrico II (1014); sotto i monaci di San Colombano grazie alla donazione del re longobardo Agilulfo, con la mediazione della regina Teodolinda e l'esenzione papale; da Bobbio (4 miglia) si espanse nei secoli successivi fino a tutta la val Trebbia (dai pressi di Piacenza fino a Torriglia), l'Oltrepò pavese,la Val Curone, la val Tidone, con Trebecco, Ruino, Romagnese, la val Nure e la val d'Aveto su un unico territorio e da feudi sparsi per tutta l'Italia settentrionale

OBERTENGHI NELLE 4 PROVINCE...CHI ERANO

 Obertenghi è il nome della dinastia di origine longobarda che prende avvio da Oberto I (Otbert o Odebertus), marchese di Milano, conte di Luni e reggente della Marca che nel X secolo da lui prese nome; un territorio che comprende la Lombardia (con la Svizzera Italiana e Novara), l'Emilia con Bologna esclusa (poi si aggiunse anche Ferrara) parte del Piemonte (l'Oltregiogo con Tortona, Novi Ligure, Ovada e la val Bormida) e parte della Liguria e della Toscana, dal Genovesato fino alla Lunigiana e alla Garfagnana, e poi indirettamente anche la Corsica e parte della Sardegna.
Gli appartenenti alla famiglia avevano il titolo onorifico di Principi di San Colombano.Fin dall'impero romano, dai bizantini, dai longobardi e dai franchi nel nord Italia vi era la regione Liguria (IX regione romana), che nel IV secolo aveva unito i territori della Liguria (con capitale Genova) con quelli dell'Emilia (Regio VIII Aemilia) con capoluogo Piacenza) e verso la fine dello stesso secolo anche la Transpadana (XI regione romana con capoluogo Milano (Mediolanum), il nome fu mantenuto Liguria, ma la nuova capitale era Milano (diventata anche capitale imperiale sotto Massimiano), con i governatorati di Genova e Piacenza.
Il territorio era vastissimo a e comprendeva l'attuale Liguria (con le Alpi marittime ed il Nizzardo, fino alla Lunigiana ed alla Garfagnana), il Piemonte e la Valle d'Aosta, la Lombardia (con la Svizzera Italiana) e l'Emilia (Bologna esclusa).
Sotto i Bizantini si formò anche la Provincia Marittima Italorum con capitale a Genova, ma il tutto passò dal 641 ai Longobardi prima e successivamente ai Franchi che riunificarono la regione preesistente, senza però modificare l'assetto dato dai romani con la formazione di ducati longobardi o contee franche. Unica effettiva trasformazione fu il trasferimento della capitale a Pavia, rimanendo comunque quella religiosa a Milano, sede dell'arcivescovato.
Dal 614 si formò il Feudo monastico di Bobbio con al centro l'Abbazia di San Colombano, che successivamente diverrà Contea Vescovile avendo avuto il titolo di Città da Enrico II (1014); sotto i monaci di San Colombano grazie alla donazione del re longobardo Agilulfo, con la mediazione della regina Teodolinda e l'esenzione papale; da Bobbio (4 miglia) si espanse nei secoli successivi fino a tutta la val Trebbia (dai pressi di Piacenza fino a Torriglia), l'Oltrepò pavese,la Val Curone, la val Tidone, con Trebecco, Ruino, Romagnese, la val Nure e la val d'Aveto su un unico territorio e da feudi sparsi per tutta l'Italia settentrionale; in Liguria fino nei dintorni di Genova e dall'entroterra fino al mare da Camogli e San Colombano Certenoli ed il porto di Moneglia a tutto il Tigullio, le Cinque Terre da Levanto fino a Portovenere e Lerici e le tre isole (Palmaria, Tino e Tinetto con il monastero di San Venerio), inoltre anche le isole liguri di Bergeggi e Gallinara, fino alla Lunigiana e la Garfagnana, oltre che le isole dell'arcipelago toscano (Elba, Capraia, Montecristo, ecc.) sulla costa di ponente da Albenga a Mentone e al Col di Tenda (zona abbandonata dopo le incursioni saracene); in Gallura; in Piemonte nell'Oltregiogo (Tortona, Novi Ligure, Ovada e la val Bormida), nelle Langhe ed il Monferrato arriva alle porte di Torino e in valle Pellice (Bobbio Pellice), in Emilia ha la zona appenninica dalla val Nure fino a Pontremoli (Via Romea prima e Via Francigena dopo) passando per Bedonia, Bardi, la val di Taro (Borgo Val di Taro), Berceto e la Cisa (Via degli Abati), dalla val Fontanabuona, per la val di Vara al Magra; inoltre ha possedimenti circoscritti a Genova, Piacenza, Mantova, Venezia, Ferrara, Ravenna, Pavia, Pisa, Lucca ed Ascoli Piceno, in Lombardia nel Lodigiano (San Colombano al Lambro), attorno al lago di Como e la Valsassina (Piani di Bobbio), al lago di Garda (da Salò a Bardolino), sui laghi di Mantova, sul Mincio a Comacchio verso Venezia, con una flotta di imbarcazioni che oltre al mare navigava sul Po e sul Ticino da Pavia verso la Svizzera o verso il mare, ed aveva in concessione i trasporti terrestri (dazi e gabelle) e la loro manutenzione sui suoi territori (vie del sale, dell'olio, del vino, del pesce, della carne, del legname e carbone, ecc).
Per la difesa di tutti questi territori, con l'approvazione imperiale e papale, Bobbio si affida a guardie armate comandate dai discendenti degli Obertenghi, in esso i monaci vi avevano costruito numerosissimi monasteri collegati anche a quelli all'estero con strade percorse da monaci e pellegrini; vi erano numerosissini castelli e fortificazioni sul territorio a protezione anche religiosa, specie dal periodo delle invasioni saracene. Dopo la decadenza del X secolo, a quella successiva dopo la scomunica del Vescovo Guarnerio e alle infeudazioni dal 1164 da parte dell'imperatore Federico Barbarossa dopo l'affievolirsi della protezione imperiale e papale, i feudi passarono buona parte direttamente agli Obertenghi che ampliarono le fortificazioni e castelli con l'appoggio imperiale e successivamente ai loro discendenti di vari rami collaterali.
La Contea di Bobbio si ridusse solo a parte della val Trebbia, dell'Oltrepò, e con i borghi di Trebecco, Ruino, Romagnese e Zavattarello nell'alta Val Tidone in quella che sarà poi il feudo dei Malaspina e dei Dal Verme.
Nel 950-951 il re Berengario II terminò la riorganizzazione del territorio ligure e del nord d'Italia, iniziata da Ugo di Provenza.
conte Aleramo di Vercelli (Marca Aleramica - Liguria centro-occidentale con Vercelli, il Monferrato, Ceva, Acqui Terme fino alle coste liguri di ponente da Oneglia fino ad Albenga);
conte di Torino Arduino il Glabro (Marca Arduinica - Torino e Ivrea fino alle Alpi Marittime e sulle coste liguri dal Nizzardo e da Ventimiglia a Sanremo);
marchese Oberto I (il grande) marchese di Milano e conte di Luni (la Marca Obertenga, detta poi Marca Januensis - Liguria orientale).
Quest'ultimo era stato nominato marchese di Milano già prima del 951, con autorità sui Comitati prima appartenenti ai marchesi di Tuscia, di Milano, della Repubblica di Genova, Luni e Tortona (governati direttamente) e su quelli di Bobbio, Parma e Piacenza, Modena e Reggio Emilia, Ferrara, Ascoli Piceno (si aggiunse in un secondo tempo), poi feudi minori (governati da vescovi od abati od altri feudatari).
Gli eredi di Oberto I: Adalberto I e Oberto II [(Oberto Obizzo) morto nel 972] mantennero in consorzio la carica marchionale con l'appoggio imperiale da Ottone I ad Arduino e Corrado II.

 I Malaspina estendevano i loro possessi sull'ampio arco di vallate che andavano dalla Lunigiana fino al Tortonese. Il carattere tipicamente montuoso del loro territorio, che veniva a trovarsi come isolato in un quadrato ai cui vertici erano le città di Genova, Tortona, Piacenza e la Lunigiana, consentì alla casata di conservare per secoli la propria autonomia. All'inizio la marca si presentava ancora nella sua unità, e Obizzone, diretto discendente di quell'Oberto Obizzo I al quale era toccata la quarta parte dell'intero patrimonio obertengo, fu tra i personaggi di primo piano nella lotta fra i Comuni e l'Impero.

LA REGIONE DELLE QUATTRO PROVINCE E LA MARCA OBERTENGA

La presenza sempre più diffusa dei monaci sulle montagne e la conseguente evangelizzazione delle popolazioni avevano portato una certa tranquillità. Rispetto al periodo romano, mutavano nuovamente le vie seguite dai commerci. Il sistema dei monasteri aveva sostituito le mansioni romane nella loro funzione itineraria.
Uno di questi itinerari dovette seguire il re Liutprando quando, nel 725, partì da Pavia con un corteo di prelati, di nobili e di popolo per presenziare personalmente alla traslazione delle spoglie di Sant'Agostino nella basilica di San Pietro in Ciel d'Oro, dove sono tuttora conservate. Il santo era morto a Bona, in Algeria, nel 430 d.C., e le sue spoglie già nel VI secolo erano state trasferite in Sardegna per sottrarle agli Arabi che avevano invaso tutto il Nord Africa. Quando nell'VIII secolo anche la Sardegna venne invasa, Liutprando riuscì a riscattare le preziose spoglie, che giunsero via mare e furono sbarcate a Genova. [Da questo viaggio del re prenderebbe nome il monte Liprando, posto lungo il crinale che separa le valli Pentemina e Brevenna, che costituiva una comoda via comunicazione.]
In funzione antisaracenica erano state costituite da Berengario II, nel 952, le marche Arduinica, Aleramica ed Obertenga, in un territorio che si estendeva ad arco dalle Alpi Marittime fino al Tirreno. Vi erano sparsi numerosi castelli, sistema portante nell'azione di controllo e di difesa della regione. Le Quattro Province erano incluse nella marca Obertenga, che si estendeva da qui fino alla Toscana.
Ma l'unità della marca, venute meno le cause principali in ragione delle quali era stata costituita, si sgretolò e si indebolì sempre più. Dal ceppo obertengo dei marchesi di Toscana ebbe origine la numerosa e longeva discendenza dei marchesi Malaspina, il cui dominio feudale era stato ufficialmente sancito dal diploma di investitura di Federico Barbarossa a Obizzo Malaspina, nel 1164.
Alle origini del nome Malaspina è una leggenda: un certo Azzino, nel 526, uccise con una spina Teodoberto, re dei Franchi. L'episodio è illustrato con cinque formelle in arenaria che ornano il portale d'ingresso del palazzo Malaspina di Godiasco. Il bassorilievo mostra il re dei Galli mentre assale la città di Milano. Marte ostacola l'ingresso ma il portale viene aperto con il tradimento. Sant'Ambrogio appare in sogno al tiranno, predicendogli l'imminente morte cruenta. Un giorno il re, andato a caccia da solo nel bosco, si addormenta in grembo ad un fanciullo, che lo sgozza con una spina. Le sue ultime parole furono "ahi malaspina!". Ma questo nome, come altri attribuiti a signori di quel tempo quali Ribaldo, Pelavicino, Malnipote e Malapresa, è da riferirsi più verosimilmente al modo non sempre onesto di amministrare i loro feudi, esigendo con ogni mezzo il pagamento di tributi e gabelle.
I Malaspina estendevano i loro possessi sull'ampio arco di vallate che andavano dalla Lunigiana fino al Tortonese. Il carattere tipicamente montuoso del loro territorio, che veniva a trovarsi come isolato in un quadrato ai cui vertici erano le città di Genova, Tortona, Piacenza e la Lunigiana, consentì alla casata di conservare per secoli la propria autonomia. All'inizio la marca si presentava ancora nella sua unità, e Obizzone, diretto discendente di quell'Oberto Obizzo I al quale era toccata la quarta parte dell'intero patrimonio obertengo, fu tra i personaggi di primo piano nella lotta fra i Comuni e l'Impero. Tre anni dopo la sua investitura, per ricambiare i favori imperiali, corse in aiuto del Barbarossa, salvandolo dall'agguato di Pontremoli. L'imperatore, sceso per la quarta volta in Italia, dopo aver conquistato Roma, era stato costretto ad un ritorno in patria a causa di un'epidemia. Il marchese Obizzo lo scortò lungo tutti i suoi feudi montani, passando per Oramala e Sant'Alberto di Butrio, facilitando il suo ritorno in Germania.
La rocca di Oramala fu tra le dimore preferite dei Malaspina, nel periodo di maggior splendore. Costruita sulla sommità di un colle boscoso, di cui sembra il naturale prolungamento, domina dall'alto la piana di Varzi, spingendo lo sguardo verso Sud fino alla zona di Pregola, dove si trovavano altre fortezze dei Malaspina. Dopo un periodo di scontri e guerre, Obizzo il Grande aveva suscitato tra gli appartenenti alla famiglia l'amore per le tradizioni cavalleresche, il culto per la gentilezza e la cortesia. La rocca della valle Staffora era meta di numerosi trovatori. Qui si levarono i primi canti provenzali in Italia.
In seguito la casata andò incontro ad un lento ma continuo sfaldamento. Una delle principali cause era l'abitudine di frazionare i feudi, dividendoli in parti uguali fra i figli maschi. Come conseguenza di queste ripetute suddivisioni del patrimonio, nacquero lotte tra i diversi rami della stessa famiglia, che portarono alla dispersione dei possedimenti. La divisione più rilevante, stipulata da Obizzino e Corrado l'Antico, nipoti di Obizzo il Grande, segnò la distinzione araldica che da allora indicò i rami della famiglia. Da Corrado l'Antico discese il ramo dello Spino Secco. Da Obizzino discese il ramo dello Spino Fiorito. Lo stemma araldico, in campo dorato e sormontato da un'aquila, simbolo dell'Impero, aveva nel primo caso un rovo con sei rami muniti di aculei; nell'altro il rovo era decorato, alle estremità, da sei rami di fiori di spino.
Le castellanie, in seguito, furono sempre più soggette all'aggressione della feudalità minore, cresciuta ai margini, e delle importanti famiglie cittadine che miravano ad annettere domini rurali ai loro possedimenti. Alla periferia del loro territorio cominciavano a crescere e a rafforzarsi le città, che cercavano di espandere la loro influenza nelle valli, lungo le quali transitavano i commerci fra la pianura e la zona costiera.
La città di Pavia, volendosi garantire una propria via di comunicazione con Genova, ottenne nel 1284 la stipulazione di un trattato con i marchesi Malaspina. Veniva regolata la questione dei pedaggi per il transito delle merci in valle Staffora; i marchesi si obbligavano fra l'altro a garantire la sicurezza dei viaggiatori. In val Trebbia i Malaspina erano insediati sia nei territori a monte di Bobbio, sia nella media valle fino a Rivalta, Rimaneva escluso Bobbio con il suo circondario, che apparteneva ai monaci dei monasteri di San Colombano e di San Paolo di Mezzano. Ma gradualmente le curie ed i castelli della val Trebbia entrarono nell'orbita del comune di Piacenza, il quale, lasciando l'esercizio di certi poteri locali agli antichi proprietari, diventò in effetti il principale dominatore. Analoghe vicende accaddero ai confini occidentali dell'antica marca Obertenga, che comprendeva le valli dello Scrivia e dei suoi affluenti. Tortona e Genova tentarono di allargare la propria influenza al di fuori delle mura cittadine. La città di Tortona gravitava sui territori ad Est dello Scrivia ed in val Borbera, dove aveva ereditato beni che erano appartenuti ai monasteri devastati dai Saraceni, come Vendersi e Savignone.
I maggiori feudatari incontravano difficoltà nell'amministrare i castelli più lontani, dei quali a volte erano costretti a cedere rendite e pedaggi ai signori che li governavano quali loro rappresentanti. Questa situazione indeboliva progressivamente i feudi, che rimanevano sempre più esposti all'azione di alcune importanti casate, che nel frattempo si erano rafforzate, e che cominciavano a far sentire la loro presenza nella regione.
I Fieschi di Lavagna, lontanamente imparentati con gli Obertenghi, avevano trovato nella città di Genova un ostacolo alla loro espansione nella fascia costiera. Favoriti dal loro pontefice Innocenzo IV Fieschi, si erano creati un dominio feudale nell'entroterra, nei territori che in precedenza erano appartenuti ai Malaspina. In un primo tempo avevano acquisito feudi in Lunigiana e in val di Vara, spingendosi in seguito verso ovest. Non ostacolati da Genova, acquistarono i feudi di Savignone, Montoggio, Crocefieschi e Casella, occupando interamente l'alta valle Scrivia. Da questa posizione potevano controllare efficacemente la strada che proveniva da Genova e proseguiva in direzione della pianura. Il controllo fu ancora più efficace dopo l'acquisto di Mongiardino e di Cremonte, nella stessa val Borbera. La loro espansione fu completata con l'acquisizione di Torriglia e di Carrega, lungo la via del monte Antola, di Grondona in valle Spinti, e di Garbagna in val Grue, in pieno territorio tortonese.
Un'altra importante famiglia genovese, gli Spìnola, favorita inizialmente dalla sua stessa città, aveva posto le sue basi in valle Scrivia, precisamente a Ronco e Isola. Gli Spinola discendevano dai Carmandino, una delle casate a cui i marchesi Obertenghi, pur non appartenendo alla loro stirpe, avevano assegnato dei possedimenti in loro rappresentanza. L'espansione degli Spinola si rivolse nelle valli a levante dello Scrivia, con l'acquisto dei castelli di Campolungo, di Grifoglieto e successivamente di Mongiardino, che era appartenuto ai Fieschi, controllando in questo modo le comunicazioni fra la valle Scrivia e le valli Vobbia e Borbera. In seguito acquistarono anche Cantalupo e Dernice, importanti centri di transito lungo la via che portava a Tortona e Voghera. Così, alle spalle di Genova, il dominio degli Spinola acquistò sempre maggiore importanza, non tardando ad infastidire la stessa città che in un primo tempo aveva favorito la loro espansione.
Lo sforzo compiuto dai feudatari per acquisire una maggiore indipendenza dalle grandi potenze confinanti, ed il desiderio di unirsi in difesa dei comuni interessi e privilegi, si concretizzò nel 1495. Massimiliano I, riaffermando la supremazia dell'Impero sull'Italia settentrionale, investì dei feudi Ludovico il Moro; essi acquisirono in questo modo una loro consistenza politica, e vennero chiamati Feudi Liguri Imperiali.
Anche i Fieschi, come gli Spinola, avevano ottenuto, nella persona di Gian Luigi il Vecchio, il riconoscimento ufficiale dell'Impero, con l'investitura del 1495. Tuttavia, la loro politica aggressiva nei confronti di Genova, che minacciavano ripetutamente dalle loro postazioni appenniniche, ed il loro propendere su alcune questioni più per la Francia che per Carlo V e l'Impero, li portarono ad una grave crisi e ad una quasi totale perdita dei loro domini. Dopo la morte di Sinibaldo Fieschi, le vicende precipitarono in occasione della fallita congiura di Gian Luigi Fieschi. Questi il 2 gennaio del 1547, con una sortita, tentò di mettersi a capo della Repubblica genovese, avendo come obbiettivo l'uccisione di Andrea Doria. Ma il piano non riuscì. Scattò allora la rappresaglia dei Doria, unita all'intervento dell'imperatore Carlo V, che aveva messo a capo delle sue milizie, nell'occasione, Agostino Spinola. Quest'ultimo, da tempo in lotta con i vicini feudatari, sperava di ricevere come compenso gli eventuali feudi confiscati. I congiurati si erano rifugiati nella fortezza di Montoggio, che cadde dopo un lungo assedio, segnando la loro definitiva sconfitta.
Ai Fieschi rimase solamente il feudo di Savignone, avviato ad un graduale impoverimento. L'imperatore operò la suddivisione dei feudi confiscati. A Genova furono consegnati Montoggio, Roccatagliata e Varese Ligure. Ai Doria, fautori dell'Impero, vennero assegnati i feudi di Garbagna e Grondona, in territorio tortonese, Torriglia e Carrega, nella regione del monte Antola, e molti altri verso levante, fino alla val di Taro.
I Doria, ricevuta l'investitura sui feudi da Carlo V nel 1549, avevano rivolto le loro principali attenzioni alla parte più orientale dei loro domini, senza interferire con la presenza degli Spinola in valle Scrivia e in val Borbera. La base del loro comando era stata insediata nel castello di Santo Stefano, in val d'Aveto. In seguito la loro politica espansionistica si concretizzò con ripetuti acquisti di castelli già appartenuti ai Fieschi, dovendosi guardare dalla concorrenza di alcune importanti famiglie genovesi che nel frattempo si erano rafforzate ed affacciate in val Trebbia, acquistando beni messi in vendita dai discendenti della famiglia Malaspina. Fra questi, i Centurione, mercanti genovesi, erano entrati in possesso dei feudi di Fontanarossa e Campi, ed avevano fatto costruire il palazzo fortezza di Gorreto.
I Doria avevano acquistato il feudo di Ottone, con il castello. Agli anelli di ferro, infissi nelle solide mura, pare venissero appese le membra squartate dei malfattori. Durante la loro dominazione furono emanati gli "Statuti dei Doria di Ottone", derivati dai "Codici di Cariseto" precedentemente diffusi dai Malaspina. Le punizioni previste, per chi veniva meno alla legge, erano molto dure. Ancora oggi in val Trebbia si dice "giustizia di Cariseto" per indicare un giudizio severo.
Più a Nord, nelle terre comprese fra il Trebbia e lo Staffora, gli eventi storici erano ancora legati ai complessi casi della famiglia Malaspina. La proprietà del castello di Pregola, sede della linea più importante della famiglia, era divisa fra i suoi membri. Nel 1570 il marchese Gian Maria tentò di impadronirsene con il tradimento, ma il tentativo fallì. Per rappresaglia, Gian Maria devastò i territori di Zerba e Belnome, uccidendo uomini e donne e razziando il bestiame. Cinque anni dopo tentò nuovamente di impossessarsi del castello. Non riuscendo a portare a termine l'impresa, lo incendiò e lo distrusse. Per i suoi misfatti gli furono confiscati tutti i beni.
Con il trascorrere del tempo, per il mutare delle condizioni storiche, in tutta la regione apparivano superate le originarie funzioni dei castelli, edificati in epoca medioevale sulla sommità dei poggi, in luoghi di più facile difesa. Nei fondovalle si aprivano nuove vie di comunicazione, e nei centri attraversati venivano costruiti i palazzi cui faceva capo la giurisdizione dei feudi. Questi vennero progressivamente elevati da semplici signorie a baronie, contee, marchesati e principati, conferendo loro un crescente prestigio. Le ricche famiglie cittadine sostituirono gradatamente gli antichi feudatari finiti in rovina. Nell'acquisto di beni fondiari trovavano modo di investire i capitali accumulati con il commercio, e potevano inoltre fregiarsi di titoli nobiliari.
Ma nella struttura dei Feudi Liguri Imperiali venne mantenuto, alle spalle di Genova, un territorio indipendente, che procurò sempre alla città preoccupazioni e danni ingenti. Diverse volte Genova tentò di entrarne in possesso, proponendone anche l'acquisto all'imperatore con grosse somme. Ma i feudatari, guidati dagli Spinola, con un appello all'autorità imperiale fecero fallire il progetto di Genova.
La storia dei Feudi Liguri Imperiali ebbe termine con la discesa in Italia di Napoleone Bonaparte. Questi, nella primavera del 1796, fissò il suo quartier generale a Tortona. Le truppe francesi compirono numerose incursioni nelle valli, che causarono, per le razzie compiute, la rivolta della popolazione. Un corriere postale francese venne assalito ed ucciso. In seguito venne tesa un'imboscata ad ottanta francesi lungo lo Scrivia, a Rigoroso. Il marchese di Arquata, Agostino Spinola, accusato di essere fra i responsabili dell'agguato, venne bandito dai feudi. Furono ordinati numerosi arresti. In quei giorni il colonnello Lannes, per ordine di Napoleone, fece incendiare il borgo di Arquata, distruggendo molte abitazioni e l'ospedale.
Il 15 giugno 1797 Napoleone Buonaparte e gli inviati della Repubblica di Genova diedero vita al convegno di Mombello, nel quale venne decisa l'annessione dei Feudi Imperiali a Genova. L'8 luglio l'agente francese Vendryes, eseguendo un'ordinanza di Napoleone, proclamò in Arquata la fine dei Feudi Imperiali Liguri, ratificata in seguito con il trattato di Campoformio. L'imperatore d'Austria rinunciava definitivamente a tutti i diritti che vantava sui Feudi, accettando la loro unione alla Repubblica Ligure Democratica. Non tutta la popolazione fu favorevole a questa soluzione, ed alle fazioni filofrancesi si opponevano quelle conservatrici, legate ai vecchi feudatari e all'Impero.
Tra le vicende di quegli anni va ricordato che "nel 1799, le sponde della Trebbia furono teatro di una famosa battaglia fra i Francesi capitanati da Macdonald e i Russi e gli Austriaci alleati, guidati i primi da Suvarof, e i secondi da Melas. Combatterono il 18, 19 e 20 giugno e prevalse la fortuna degli imperiali. Più di seimila furono i morti e i feriti dalla parte dei Francesi, i quali, con una disastrosa ritirata attraverso l'Appennino, si ricongiunsero a Genova col corpo del generale Moreau. Posti avanzati di Austriaci e Francesi svernarono in quell'anno su tutti i gioghi dell'alta val Trebbia, alle Capanne di Cosola, di Carrega, di Pey, ai monti Oramara, Friciallo, Lavagnola ecc." [Guida per le escursioni nell'Appennino ligure-piacentino / A Brian — Genova 1910]. Poco sopra Artana, in val Boreca, esiste un pianoro denominato Campo dei Francesi.
Napoleone, nel 1805, divenuto imperatore, decretò l'annessione della Repubblica Ligure Democratica alla Francia. Così le valli tra il Trebbia e lo Scrivia entrarono a far parte dell'Impero francese. Seguì un periodo difficile per gli abitanti della regione, che furono costretti a cibarsi anche di erbe per sopravvivere. Numerosi giovani furono arruolati per le campagne napoleoniche. I gendarmi francesi, inviati sui monti per inseguire i disertori, ritornavano spesso senza preda.
Dopo le sconfitte di Napoleone, il congresso di Vienna decretò l'annessione della Repubblica Ligure Democratica, con il nome di Ducato di Genova, al Regno di Sardegna.
Fabrizio Capecchi
estratto e adattato da Un'isola tra i monti — Croma: Pavia 1990

lunedì 30 gennaio 2017

RIASSUNTO STORICO DELLE 4PROVINCE

brevi cenni di carattere storico tratteggiati qui di seguito hanno una prospettiva definita: il punto di vista di chi arriva nelle prime colline dell’Oltrepò, osserva il paesaggio – con la disposizione arroccata dei borghi, i castelli e le rocche sparse, le chiese di varia origine, gli edifici e le ville di inizio ‘900, le vigne addossate a declivi talora assai ripidi – e, interrogandosi sul senso di ciò che vede, e di ciò che non vede più, ricerca spunti di interpretazione e comprensione.
E la rilettura degli accadimenti storici può aiutare a dar conto delle ragioni per le quali, ad esempio, è luogo comune definire l’Oltrepò oggi come “terra di vigne e di castelli”.
Primi spunti di interpretazione si generano, e qui si contravviene immediatamente alle premesse, considerando innanzitutto la posizione “geografica” dell’Oltrepò.
Infatti, la collocazione geografica, le caratteristiche morfologiche del territorio, il fatto di essere attraversato, dall’epoca romana, da un’importante arteria viaria come l’antica Postumia e di disporre di valli appenniniche praticabili in direzione di valichi che consentono il collegamento con il piacentino e la Liguria, hanno attribuito all’Oltrepò nella storia una considerevole importanza logistica e strategica. Per questa ragione esso rimase coinvolto nelle vicende belliche che riguardarono dapprima la conquista romana della pianura Padana, successivamente la caduta dell’impero d’Occidente, la guerra greco-gotica e l’arrivo dei Longobardi - vicende che interessarono direttamente le vicine città di Piacenza (della cui circoscrizione territoriale l’Oltrepò fece parte dall’età romana al Medioevo) e di Pavia - i conflitti tra potenti famiglie gentilizie in epoca feudale, gli eserciti spagnoli, francesi e austriaci, in fasi successive che arrivano all’epoca di Napoleone Primo, Casa Savoia e fino all’unità d’Italia.
I Liguri  e la conquista romana Facciamo un salto di millenni e riportiamoci all’era Quaternaria, quando i ghiacciai dell’era precedente abbandonano a poco a poco l’Italia settentrionale e le colline si coprono di fitti boschi, mentre paludi e acquitrini lambiscono le colline. Si scopre un paesaggio selvaggio e maestoso, dove, a seconda dell’altitudine, si alternano e si compenetrano i boschi di rovere e di castagno, le due essenze che hanno sempre dominato le colline dell’Oltrepò. E l’uomo vive per millenni nel bosco, cacciatore prima e agricoltore sedentario poi, strappando al bosco spazi per le coltivazioni. E attraverso gli immensi boschi dell’Appennino, in particolare, inizia la colonizzazione dell’Oltrepò collinare e montano da parte dei Liguri Iriati, i quali emigrano dalle coste del Tirreno, in particolare dal Golfo del Tigullio, alla ricerca di nuove terre dove insediarsi. La penetrazione verso nord da parte dei liguri si arrestò in corrispondenza della fascia collinare confinante con la pianura padana. Le prime popolazioni liguri occuparono stabilmente i versanti dei rilievi compresi tra Stradella e Retorbido e quelli dei rilievi più interni dell’Oltrepò collinare e in parte montano.
Si ritiene che alla base dell’organizzazione socio-economica dei Liguri antichi fosse la proprietà comune della terra.
Nel IV secolo avanti Cristo i Liguri subirono l’invasione celtica.
Quasi due secoli più tardi, vi fu l’invasione dei Romani. Nel 238 a.C. si aprirono le ostilità militari tra l’esercito romano e i Liguri della Riviera. I Romani compresero col tempo che per sottomettere i Liguri occorreva anzitutto espugnare i territori dell’entroterra. Iniziò così la penetrazione romana all’interno delle valli appenniniche. Nel 221 a.C. i centurioni raggiunsero la Valle Staffora, dove le genti liguri inizialmente li accolsero in amicizia, comprendendo solo in un secondo tempo le intenzioni “imperialistiche” dei Romani che, in quello stesso anno, presidiarono e fortificarono la località di Clastidium (Casteggio).
Nel 218 a.C., alla discesa di Annibale nella pianura Padana, i Liguri si allearono con il nuovo invasore, nemico dei Romani, pensando di poter liberare le loro terre. Ma non fu così: al termine della seconda guerra punica (197 a.C.) i Romani assoggettarono definitivamente i Liguri.
I Romani costruirono importanti vie di comunicazione di carattere militare e commerciale, lungo le quali sorsero i principali centri abitati. Tra le vie, è da ricordare la Postumia, iniziata dal console Albino nell’anno 606 di Roma (96 a.C.), che cominciava da Genova, giungeva al Decimum Lapidem (Pontedecimo), a Libarna (Serravalle Scrivia circa), a Tortona, a Iria (Voghera) e, costeggiando le colline dell’Oltrepò, a Piacenza, a Verona e forse ad Aquileia. La Postumia, chiamata erroneamente “Emilia”, fu detta, nell’epoca cristiana, “Romea”, in nome dei pellegrini, conosciuti nei bassi tempi come ”romeus” o “romeius”, che la frequentavano per recarsi a Roma.
Le invasioni barbariche, germaniche, slave e il periodo feudale Con il decadere dell’Impero Romano d’Occidente (III secolo dopo Cristo), l’Oltrepò subì le invasioni di nuove popolazioni, le quali non di rado si dimostrarono assai violente. Pare ad esempio che Iria, nome con il quale si ritiene venisse designata all’epoca Voghera, sia stata distrutta nel 452 d.C. da Attila. In ogni caso, la venuta di queste popolazioni, e la conseguente fusione dei loro tratti culturali con quelli dei Liguri, dei Celti e dei Latini diede origine a un nuovo gruppo etnico che mantenne nel tempo caratteristiche culturali sensibilmente differenti da quelle delle genti a nord del Po.
Memorie archeologiche del lungo dominio romano si trovano in molte zone dell’Oltrepò, ma sono senza dubbio dell’alto medioevo e del periodo rinascimentale le testimonianze più numerose e più importanti dal punto di vista artistico.
Tra l’XI e il XV secolo, su innumerevoli sommità furono costruiti castelli e roccaforti, baluardi eretti a difesa degli interessi principalmente territoriali di ciascun casato, minacciati nei frequenti conflitti militari tra famiglie rivali. Attorno al castello, all’interno della prima cerchia di mura, sorsero abitazioni, spesso il nucleo originario dei borghi che si sarebbero sviluppati in seguito.
Con l’imporsi della religione cristiana sul paganesimo, cominciarono anche i pellegrinaggi ai luoghi santi che furono, dal V al XV secolo, uno degli elementi connettivi dell’Europa cristiana.  Gran parte dei percorsi scendevano lungo il Po, o attraversavano i valichi dell’Appennino, seguendo in buona misura i tracciati della via Emilia o della via Postumia, chiamata, come detto, Romea, e, in seguito, anche “Francigena”, perchè nell’altra direzione era percorsa da coloro che andavano in Francia, per raggiungere Santiago de Compostella o altri luoghi di culto. Nei luoghi dominanti, sui ponti e guadi dei corsi d’acqua e nei punti più pericolosi per il viandante furono costruiti castelli, a protezione dei pellegrini, monasteri e luoghi di ristoro e di sosta, chiamati “ospizi” o ospedali, che solo in seguito divennero luoghi di cura per la lebbra, il fuoco di Sant’Antonio e la peste.
Esemplare, al riguardo, è la vicenda umana di un pellegrino destinato a cambiare la storia religiosa, sociale ed economica di Broni a partire dal XIV secolo: San Contardo d’Este. Il tentativo di ricostruire un quadro, necessariamente ipotetico e tuttavia il più possibile completo, della situazione insediativa tardo-antica e alto medievale nell’Oltrepò, non può infine prescindere dalla considerazione del fenomeno della nascita delle pievi rurali, verificatosi nell’Italia padana a partire dal IV secolo d.C. Si può dire, in estrema sintesi, che le pievi, presumibilmente risalenti alla primitiva organizzazione ecclesiastica del territorio, appaiono ubicate in località caratterizzate dalla presenza di precedenti insediamenti romani, ora disposte lungo l’antica via Postumia (Voghera, Casteggio, Redavalle, Broni) o lungo la strada della Valle Staffora (San Gaudenzio, Rivanazzano, Varzi), ora collocate in posizioni notevoli nella pianura (Arena, luogo di possibile attraversamento del Po) o in luoghi centrali e di rilievo sulla collina (Montalto).
l territorio dell’Oltrepò, nell’alto medioevo e sino alla fine del feudalesimo, è stato controllato politicamente in particolare da quattro potenti famiglie gentilizie: Malaspina, Dal Verme, Beccaria e Visconti.
Nel XII secolo i feudi collinari del vogherese, in possesso dei vescovi di Tortona e di Piacenza, passarono, per volere dell’imperatore Federico Barbarossa, al comune di Pavia. E’ quindi da allora che l’Oltrepò può cominciare a dirsi “pavese”. Intenzione del Barbarossa era quella di interporre un cuneo di territori fedeli all’Impero tra i guelfi di Tortona e quelli di Piacenza. Voghera, Broni e Stradella si mantennero ghibellini, insieme a Pavia e ai feudi malaspiniani della Valle Staffora, in costante conflitto con milanesi e piacentini. L’Oltrepò subì incendi e distruzioni, per le guerre tra guelfi e ghibellini, specialmente tra il 1214 e il 1216.
Nella valle del Tidone, che scende verso il territorio piacentino, si imposero, dopo il dominio del monastero di San Colombano di Bobbio, i Dal Verme. Sulle dorsali delle colline si incontrano i castelli e i feudi che furono dei Beccaria. In seguito, i Visconti, nel XIV secolo, e gli Sforza, dopo la metà del XV, ebbero il dominio incontrastato del territorio, che assegnarono in feudo ai loro vassalli più fedeli.
Guerre e conflitti in età moderna e dopo l'unità d'Italia
Nel 1495 il re di Francia Carlo VIII, chiamato da Ludovico il Moro dopo la battaglia di Fornovo sul Taro, passò frettolosamente per Castel San Giovanni, Voghera, Tortona, per ritirarsi ad Asti, e da qui in Francia. Le guerre tra francesi e spagnoli portarono, anche sulle terre dell’Oltrepò, nuove scorrerie e nuove epidemie.
L’Oltrepò fu scorporato dal Principato di Pavia nel 1703 e annesso al Piemonte col trattato di Torino. Nel 1713 la pace di Utrecht lo assegnò all’Austria, ma nel 1743 il trattato di Worms e nel 1748 quello di Aquisgana assegnarono nuovamente ai Savoia il vogherese, le Langhe Malaspiniane, i feudi Dal Verme e il bobbiese. E’ a partire dal Settecento che si estende e generalizza la viticoltura: fino a quel momento il bosco aveva regnato sovrano, anche se inframmezzato da coltivi a vigna. Dal ‘700, invece, ha origine il processo che porta allo spettacolo attuale dei bei filari di viti che, con le loro irte geometrie ornano le pendici delle colline oltrepadane.
L’intero Oltrepò rimase piemontese sino all’unità d’Italia, salvo le occupazioni francesi negli anni 1796-99 e 1800-14.
Napoleone Bonaparte, ai primi di giugno del 1800, attraversò con le sue truppe a San Cipriano e si accampò tra Broni e Casteggio. Il 9 giugno, a Montebello, vi fu il primo scontro con l’esercito austriaco. Cinque giorni dopo, a Marengo, ebbe luogo un’altra celebre battaglia.
Un altro importante scntro si svolse a Montebello il 20 maggio 1859, nel corso della seconda guerra di indipendenza, tra 8o000 franco-piemontesi e 16000 austriaci. I primi sconfissero i secondi, che ripiegarono su Pavia, Broni e Stradella.
La provincia di Pavia, dal 1859 al 1923, incluse anche il circondario di Bobbio e l’alta Val Trebbia, poi aggregati alla provincia di Piacenza , e, in parte a quella di Genova.
Nel 1882 entrò in funzione la linea ferroviaria Pavia-Broni-Stradella e nel 1883 venne attivata la linea tramviaria Voghera-Stradella.
Il 9 aprile del 1910 si apriva il cantiere della titanica opera per la costruzione del ponte della Becca, alla confluenza del Ticino nel Po. 3900 tonnellate di ferro, 1040 metri di lunghezza, 13 campate: il 7 luglio 1912 veniva inaugurata ufficialmente la “porta dell’Oltrepò”, il collegamento più rapido e diretto tra Pavia e la zona meridionale della provincia. A distanza di tanti anni la costruzione appare tanto più grandiosa se si pensa che fu realizzata solo con attrezzi manuali quali vanghe, picconi, martelli e che anche le draghe erano mosse dagli animali.
Negli anni 1943-’45 la popolazione dell’Oltrepò si distinse per la propria partecipazione alla lotta armata di Resistenza e di Liberazione.
Il dialetto, gli usi e costumi, le credenze, le tradizioni dell’Oltrepò rimangono ben caratterizzati e radicati nell’origine celto-ligure, sia per le note tendenze alla conservazione proprie della cultura contadina, sia per l’ancor più spiccato attaccamento alle origini delle genti di montagna. Negli ultimi decenni, però, l’emigrazione massiccia e la crisi della cultura contadina hanno costituito forti fattori di assimilazione culturale.